𝐋𝐚 𝐩𝐢𝐥𝐥𝐨𝐥𝐚 𝐝𝐢 𝐝𝐢𝐫𝐢𝐭𝐭𝐨 𝐚𝐦𝐦𝐢𝐧𝐢𝐬𝐭𝐫𝐚𝐭𝐢𝐯𝐨 𝐝𝐞𝐥 𝟐𝟐.𝟏𝟏.𝟐𝟎𝟐𝟒: 𝐋𝐚 𝐏𝐥𝐞𝐧𝐚𝐫𝐢𝐚 𝐚𝐦𝐩𝐥𝐢𝐚 𝐢 𝐜𝐚𝐬𝐢 𝐢𝐧 𝐜𝐮𝐢 𝐢𝐥 𝐆𝐢𝐮𝐝𝐢𝐜𝐞 𝐝’𝐀𝐩𝐩𝐞𝐥𝐥𝐨 𝐩𝐮𝐨̀ 𝐫𝐢𝐧𝐯𝐢𝐚𝐫𝐞 𝐥𝐚 𝐜𝐚𝐮𝐬𝐚 𝐚𝐥 𝐓.𝐀.𝐑.

𝐋𝐚 𝐏𝐥𝐞𝐧𝐚𝐫𝐢𝐚 𝐚𝐦𝐩𝐥𝐢𝐚 𝐢 𝐜𝐚𝐬𝐢 𝐢𝐧 𝐜𝐮𝐢 𝐢𝐥 𝐆𝐢𝐮𝐝𝐢𝐜𝐞 𝐝’𝐀𝐩𝐩𝐞𝐥𝐥𝐨 𝐩𝐮𝐨̀ 𝐫𝐢𝐧𝐯𝐢𝐚𝐫𝐞 𝐥𝐚 𝐜𝐚𝐮𝐬𝐚 𝐚𝐥 𝐓.𝐀.𝐑.

a cura di Luca Cestaro

Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, Sentenza n. 16 del 20 novembre 2024

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Il caso concreto e le ragioni della rimessione

Il sig. Tizio, proprietario di un immobile a Catania, ha impugnato diversi provvedimenti autorizzativi relativi al ripristino di un impianto di distribuzione carburanti, denunciando violazioni normative e la mancanza dei presupposti per l’autorizzazione. Il T.A.R. per la Sicilia, sez. di Catania, ha dichiarato il ricorso inammissibile, rilevando l’assenza di legittimazione e di interesse in capo al ricorrente.

In appello, il Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana (CGARS) ha accolto il primo motivo, riconoscendo l’ammissibilità del ricorso, ma ha sollevato un quesito pregiudiziale alla Plenaria sulla corretta interpretazione dell’art. 105, comma 1, c.p.a. (Codice del processo amministrativo).

Il quesito riguarda la possibilità che una declaratoria di inammissibilità erronea da parte del T.A.R. – precludendo l’esame dei motivi di ricorso – imponga la rimessione della causa al giudice di primo grado per evitare una lesione del diritto di difesa e garantire il doppio grado di giudizio (artt. 105 c.p.a., 111 e 125 Cost.).

Il CGARS ha evidenziato che:

  1. l’erronea declaratoria di inammissibilità potrebbe configurare una “lesione del diritto di difesa” ai sensi dell’art. 105 c.p.a., se priva il ricorrente di un pieno esame del merito.
  2. in mancanza di rimessione, il Consiglio di Stato sarebbe costretto a esaminare per la prima volta il merito in appello, comprimendo il diritto del ricorrente al doppio grado di giudizio costituzionalmente garantito (art. 125 Cost.).
  3. la Plenaria del 2018 (sentenze nn. 10, 11 e 15) aveva escluso la rimessione nei casi di inammissibilità, salvo ipotesi di nullità della sentenza per motivazione apparente. Tale principio, secondo il CGARS, necessita di una rivisitazione per tutelare meglio il diritto di difesa.

Il quadro normativo e il percorso argomentativo della Plenaria

Il dettato dell’art. 105 c.p.a.

L’art. 105, comma 1, c.p.a., stabilisce che:

“Il Consiglio di Stato rimette la causa al giudice di primo grado soltanto se è mancato il contraddittorio, oppure è stato leso il diritto di difesa di una delle parti, ovvero dichiara la nullità della sentenza, o riforma la sentenza o l’ordinanza che ha declinato la giurisdizione o ha pronunciato sulla competenza o ha dichiarato l’estinzione o la perenzione del giudizio”.

La norma prevede ipotesi tassative di rimessione, ma le categorie di “lesione del diritto di difesa” e “nullità della sentenza” richiedono un’interpretazione che ne specifichi i confini, specialmente nei casi di errori macroscopici di giudizio sulle condizioni dell’azione.

La nullità della sentenza e la motivazione apparente

Ebbene, il Supremo Consesso stabilisce che «l’erronea dichiarazione di inammissibilità del ricorso per difetto di una condizione dell’azione – con il consequenziale mancato esame della totalità dei motivi di ricorso – ben può integrare la ‘nullità della sentenza’, in armonia con i principi enunciati dalle sentenze dell’Adunanza Plenaria nn. 10 e 11 del 2018, § 47 e ss., e n. 15/2018 § 7.3».

In particolare, la ‘nullità della sentenza’ sarebbe «ravvisabile non solo nel caso di motivazione “radicalmente assente”, ma anche nel caso di motivazione “meramente apparente”, che si ha quando essa è “palesemente non pertinente rispetto alla domanda proposta”, o “tautologica o assertiva, espressa attraverso mere formule di stile” o “richiama un generico orientamento giurisprudenziale senza illustrarne il contenuto”. “Più in generale, la motivazione è apparente quando sussistono anomalie argomentative di gravità tale da porre la motivazione al di sotto del minimo costituzionale che si ricava dall’art. 111, comma 5 Cost. (…) tale anomalia si identifica, oltre che nella mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico, nel contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili, nella motivazione meramente assertiva, tautologica, apodittica, oppure obiettivamente incomprensibile (…) La motivazione apparente non è sindacabile dal giudice, in quanto essa costituisce un atto d’imperio immotivato e dunque non è nemmeno integrabile, se non con il riferimento alle più varie, ipotetiche congetture, ma una sentenza “congetturale” è, per definizione, una non-decisione giurisdizionale – o, se si preferisce e all’estremo opposto, un atto di puro arbitrio – e, quindi, un atto di abdicazione alla potestas iudicandi.. (…). La nullità della sentenza per difetto assoluto di motivazione riguarda non solo le sentenze di rito (irricevibilità, inammissibilità, improcedibilità), ma anche quelle che recano un dispositivo di merito (…) non sorretto da una reale motivazione.”. (…) “Il difetto assoluto di motivazione deve essere valutato e apprezzato con riferimento alla sentenza nella sua globalità rispetto al ricorso proposto unitariamente inteso, e non in maniera parcellizzata o frammentata, facendo riferimento ai singoli motivi o alle singole domande formulate all’interno di esso”».

Secondo l’Adunanza Plenaria, un errore evidente nell’escludere la legittimazione o l’interesse a ricorrere crea una situazione particolarmente grave per il ricorrente, poiché comporta la mancata valutazione di tutti i motivi del ricorso. Questa condizione è più grave rispetto a un errore che neghi la giurisdizione o la competenza, o a un errore procedurale, per diverse ragioni:

  • Nei casi di difetto di giurisdizione o di competenza, la parte non perde il diritto alla tutela giurisdizionale della propria posizione, potendo riassumere il giudizio davanti al giudice competente, mantenendo così i due gradi di merito.
  • In presenza di errori procedurali, i motivi del ricorso vengono comunque esaminati, anche se il processo è viziato.

Al contrario, un errore che escluda erroneamente la legittimazione o l’interesse nega radicalmente l’esistenza stessa di una posizione giuridica tutelabile, impedendo sia l’esame del merito sia la possibilità di riassumere il giudizio davanti a un altro giudice di primo grado.

Le diverse tipologie di decisioni di inammissibilità

L’Adunanza Plenaria analizza le diverse modalità con cui una sentenza di inammissibilità di un ricorso di primo grado può essere motivata e le relative conseguenze giuridiche, individuando quattro principali fattispecie:

    1. Decisioni di inammissibilità che omettono l’esame del merito inteso come fatti di causa: si tratta di decisioni che non considerano le specifiche circostanze fattuali rilevanti per valutare la legittimazione o l’interesse del ricorrente (ad esempio, nelle controversie edilizie, la concreta ubicazione del bene o le caratteristiche dell’immobile).
    2. Decisioni di inammissibilità che omettono l’esame del merito inteso come motivi di ricorso: il giudice dichiara inammissibile il ricorso senza entrare nel merito delle censure avanzate.
    3. Decisioni con doppia motivazione: il giudice dichiara inammissibile il ricorso ma esamina comunque i motivi di ricorso, sia pure in via subordinata.
    4. Decisioni in cui la declaratoria di inammissibilità è frutto di un esame, almeno parziale, dei motivi di ricorso: il giudice analizza alcuni o tutti i motivi del ricorso e, sulla base di tali valutazioni, dichiara l’inammissibilità.

Le conseguenze giuridiche delle diverse tipologie

  • Nelle prime due ipotesi, la Plenaria ritiene che si configuri una nullità della sentenza per motivazione apparente o per palese errore di rito. Ciò accade quando il giudice omette completamente di esaminare il merito del ricorso (sia nei fatti sia nei motivi), privando così il ricorrente di un giudizio effettivo. In tali casi, ai sensi dell’art. 105 c.p.a., si impone l’annullamento della sentenza con rinvio al giudice di primo grado.
  • Nelle ultime due ipotesi, invece, non vi è ragione di disporre il rinvio al T.A.R., poiché il giudice ha comunque esaminato, almeno in parte, i motivi (di merito) di ricorso. In queste situazioni, prevale l’effetto devolutivo dell’appello (art. 101, comma 2, c.p.a.), che consente al Consiglio di Stato di proseguire direttamente l’esame della controversia senza necessità di rinvio.

 La lesione del diritto di difesa e il principio del doppio grado

L’erronea declaratoria di inammissibilità (per palese errore di giudizio sulle condizioni dell’azione) configura, altresì, una lesione del diritto di difesa (art. 24 Cost.), poiché priva il ricorrente di un giudizio completo in primo grado e lo costringe a sostenere un appello per ottenere l’esame delle sue censure. Tale circostanza è particolarmente grave nel processo amministrativo, dove il doppio grado di giudizio è costituzionalmente garantito (artt. 111 e 125 Cost.) e consente il controllo pieno delle decisioni amministrative.

La Plenaria ha osservato che il Consiglio di Stato, decidendo direttamente nel merito, priverebbe il ricorrente del diritto di beneficiare di una valutazione completa in primo grado, compromettendo il giusto processo (art. 1 c.p.a.).

La tassatività delle ipotesi di rimessione

Pur confermando la tassatività delle ipotesi previste dall’art. 105 c.p.a., la Plenaria ha, quindi, ampliato l’interpretazione delle categorie di nullità e lesione del diritto di difesa per includervi le errate declaratorie di inammissibilità “palesemente erronee” che precludano l’esame del merito. Ciò consente, nell’impostazione adottata, di bilanciare il principio devolutivo dell’appello (art. 101 c.p.a.) con le esigenze di tutela del ricorrente.

Il principio di diritto enunciato

La Plenaria ha, in conclusione, statuito che:

“L’art. 105, comma 1, c.p.a., nella parte in cui prevede che il Consiglio di Stato rimette la causa al giudice di primo grado se dichiara la nullità della sentenza, si applica anche quando la sentenza appellata abbia dichiarato inammissibile il ricorso di primo grado, errando palesemente nell’escludere la legittimazione o l’interesse del ricorrente”.

Conclusioni operative

L’Adunanza Plenaria ha ribadito che, nei casi di (palesemente) errata declaratoria di inammissibilità per difetto di legittimazione o interesse, il Consiglio di Stato deve rimettere la causa al T.A.R. per garantire il pieno esercizio del diritto di difesa e il rispetto del principio del doppio grado di giudizio.

Per un verso, tale interpretazione assicura un processo giusto ed equo (artt. 24 e 111 Cost.; art. 1 c.p.a.), evitando che errori macroscopici di rito compromettano l’effettività della tutela giurisdizionale.

Per altro verso, e ciò specialmente per l’opinabilità della valutazione in ordine all’essere palese o meno l’errore compiuto dal giudice di prime cure, v’è il rischio che l’interpretazione proposta generi incertezza e prassi discordanti. La possibile incertezza rischia di incidere negativamente anche sull’attività del giudice di primo grado che – onde evitare annullamenti con rinvio da parte del Giudice d’Appello – potrebbe essere portato a esaminare, comunque, il merito della controversia anche nel caso in cui vi siano consistenti ragioni per definirlo in rito. Un simile esito, evidentemente, si porrebbe in contrasto con la natura soggettiva della giurisdizione amministrativa che impone una rigorosa disamina della sussistenza dei presupposti e delle condizioni dell’azione come, a più riprese, ribadito dalla stessa Adunanza Plenaria (v., tra le altre, la Plenaria n. 22/2021 e la relativa pillola di diritto del 29.12.2021).