Non è discriminatoria la clausola del bando di concorso per l’assunzione dei disabili che richieda la persistenza dello stato di disoccupazione

Commento a Corte di Cassazione, sez. lav., Sentenza n. 14790 del 10 luglio 2020
di Arcangelo Monaciliuni

 

Con la recentissima sentenza in commento, la Corte di Cassazione ha affermato il principio di diritto secondo cui: “Non costituisce comportamento discriminatorio la previsione, in sede di bando di concorso riservato alle categorie ex art. 8 della I. n. 68 del 1999, del requisito della sussistenza dello stato di disoccupazione anche al momento dell’assunzione, trattandosi di previsione avente la finalità di tutelare, in conformità con il dettato legislativo e con i principi affermati dalla Corte di Giustizia UE, il disabile disoccupato rispetto ad altro soggetto, egualmente disabile, ma nelle more fuoriuscito dalla categoria dei disoccupati“.

In punto di fatto era accaduto che una Azienda sanitaria locale aveva negato l’assunzione al disabile, risultato vincitore della procedura riservata, in quanto, nelle more della definizione della procedura concorsuale, aveva perso lo stato di disoccupazione, la cui persistente sussistenza era stata fatta oggetto di specifica previsione del bando di concorso, imposta a pena di esclusione.

In primo grado il Tribunale aveva respinto il ricorso da questi presentato, escludendo ogni discriminazione da parte dell’Azienda, nel mentre la Corte di Appello era giunta alla opposta -ma immotivata, a dire dell’ASL ricorrente in Cassazione- conclusione, riformando la pronuncia di prime cure.

La decisione degli Ermellini merita di essere annotata sia per il principio pronunciato, innanzi integralmente riportato, sia per l’ampio corredo motivazionale recato a suo supporto, in una all’organica ricostruzione del quadro normativo comunitario e nazionale e a una analisi attenta ed esaustiva della giurisprudenza formatasi sia a livello comunitario (CEDU e Corte di Giustizia), che interno (Corte Costituzionale e Cassazione).

Per vero, i supremi giudici sono andati al di là delle stesse aspettative dell’attento ricorrente in Cassazione, che, consapevole del quadro normativo e giurisprudenziale non proprio armonico, e quindi suscettibile di condurre ad una conclusione diversa, aveva chiesto che la Cassazione sospendesse il processo e chiedesse alla Corte di giustizia dell’Unione europea una pronuncia pregiudiziale sul punto. Tecnicamente, i quesiti da sottoporsi alla Corte di Giustizia erano volti a conoscere se gli articoli 1, 5, 7 della Direttiva 2000/78, nonché gli artt. 21 e 26 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea ostassero ad una disciplina nazionale, quale quella di cui all’art. 8 l. 68/1999, ovvero ad una previsione puntuale della lex specialis, recante espressa comminatoria di esclusione, che prevedesse, per l’appunto, la permanenza dello stato di disoccupazione anche al successivo momento dell’assunzione.

La Cassazione ha quindi:

a) ricordato che il diritto all’eguaglianza, di tutti “e dunque anche delle persone disabili”, ed alla protezione contro le discriminazioni costituisce un diritto universale riconosciuto dalla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, dai Trattati e dalle Convenzioni intervenute in sedi internazionali ed europee, nonché, nel dettaglio, da una serie di Direttive comunitarie, sui cui contenuti specifici la pronuncia si sofferma con dovizia. In definitiva, l’elemento che tutti/e accomuna è dalla Corte individuato in quello relativo agli obblighi per gli Stati di garantire e favorire l’esercizio del diritto al lavoro, tanto nella fase di avviamento, quanto nel corso del rapporto, prendendo al riguardo appropriate iniziative, anche attraverso misure legislative, a sostegno di forme di eguaglianza sostanziale.

b) chiarito come tali principi siano sanciti, specificamente e in misure fra loro complementari, sia dal diritto dell’Unione sia dalla CEDU; fatto quindi luogo ad un ampio excursus dell’evoluzione della nozione di ‘handicap’ ad opera della giurisprudenza comunitaria; occupata delle diverse forme di discriminazioni possibili, fra quelle dirette (trattamento diverso di persone che si trovano in una situazione analoga) e quelle indirette (medesimo trattamento riservato a persone che si trovano in situazioni diverse, che si traduce in una differenza di trattamento a causa dell’effetto sproporzionatamente pregiudizievole di una politica o di una misura generale che, se pur formulata in termini neutri, produce una discriminazione).

c) ricordato che nell’ordinamento interno il principio di non discriminazione trova il suo fondamento costituzionale negli artt. 2 e 3 della Costituzione, qui da coniugarsi con il diritto al lavoro, sancito dall’art. 4 Cost., di cui rappresentano presidi normativi le diverse leggi ordinarie nel tempo sopravvenute, tutte indicate e commentate nel loro sopravvenire temporale.

d) rammentato come la tutela del lavoratore portatore di handicap anche nel corso del rapporto di lavoro è certo cosa “giusta e degna”, rispondente ai principi ed alle norme testuali di Trattati, Convenzioni, Direttive europee, normativa interna, ma, chiosando alcune pronunce che, ad una lettura affrettata, avrebbero potuto far diversamente concludere, nel contempo affermato -a quanto è dato conoscere per la prima volta a chiare lettere- che il sistema normativo nel suo complesso, in esso incluso quindi anche la l. n. 68 del 1999, che prevede un sistema di collocamento al lavoro “meno burocratizzato”, senza bisogno di richiamare “l’antico brocardo del primum vivere” impone di “considerare ragionevole una scelta che abbia avuto la finalità di tutelare (nell’impostazione del bando, per quanto detto conforme al dettato legislativo) il disabile disoccupato, ritenuta prevalente, piuttosto che quella di consentire il miglioramento della condizione lavorativa di altro soggetto, egualmente disabile, ma nelle more fuoriuscito dalla categoria dei disoccupati, trattandosi di scelta improntata, in conformità con le stesse previsioni di cui all’art. 8 della I. n. 68 del 1999, a garantire innanzitutto una occupazione a chi non l’abbia, in piena conformità con il dettato costituzionale, ed in particolare, oltre che con l’art. 4, con il principio di eguaglianza sostanziale (art. 3, comma 2) e con quello di solidarietà (art. 2)”.

e) osservato come anche in presenza di concorsi pubblici aperti a tutti (e non, quindi, in quelli riservati, quali quello di cui alla vertenza all’esame), il legislatore, a mezzo dell’art. 25, comma 9 bis, della I. n. 114/2014, aveva soppresso dall’art. 16, comma 2, della I. n. 68 del 1999 l’inciso “anche se non versino in stato di disoccupazione”, così, anche qui, escludendosi “privilegi” per l’handicappato occupato.

Tali le conclusioni della pronuncia in commento che ha cura ancora di precisare come assicurare la vita lavorativa all’handicappato che ne è privo non significa svilire le legittime aspettative di miglioramento di una condizione lavorativa dell’handicappato che il lavoro (oggi) ha, ma semplicemente consente di accordare tutela prioritaria al primo, senza che a tale conclusioni possano essere opposte pronunce, quali quella della Corte di Giustizia del 4 luglio  2013, in  causa  C  – 312/11, nel cui contesto motivazionale è valorizzato non solo l’aspetto dell’accesso al lavoro ma anche quello della ‘promozione’ e cioè della progressione o avanzamento professionale. Ed invero, condivisibilmente, la pronuncia osserva che tuttavia, ovvero ad onta di una diversa lettura che pure ne era stata fatta in sede giurisprudenziale ed in sede amministrativa (controparte aveva depositato una serie di bandi di concorso che non prevedevano la permanenza dello stato di disoccupazione) “… non può essere disconosciuto che una tutela incondizionata del disabile già occupato comprimerebbe quella del disabile disoccupato superando così quell’adeguato livello di tutela imposto dal rispetto dei canoni di solidarietà che devono ispirare la legislazione sociale, specialmente in materia di impiego pubblico.”

Articolo precedente

La domanda del 05.08.2020

Articolo successivo

La domanda del 19.08.2020