𝐋𝐚 𝐩𝐢𝐥𝐥𝐨𝐥𝐚 𝐝𝐢 𝐝𝐢𝐫𝐢𝐭𝐭𝐨 𝐜𝐢𝐯𝐢𝐥𝐞 𝐝𝐞𝐥 𝟏𝟐.𝟎𝟓.𝟐𝟎𝟐𝟐: Incostituzionale la norma che impedisce il riconoscimento del rapporto tra l’adottato(in casi particolari) e i parenti dell’adottante

Incostituzionale la norma che impedisce il riconoscimento del rapporto tra l’adottato(in casi particolari) e i parenti dell’adottante.

a cura dell’avvocato Paolo Vincenzo Rizzardi

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Corte Costituzionale, sentenza n. 79/2022 del 23/02/2022 (dep. 28/03/2022).

La pronuncia in commento si inscrive,senza soluzione di continuità, nell’ambito del progressivo smantellamento del sistema delle adozioni in casi particolari, così come regolato dal legislatore con la legge n. 184/1983. Invero, sul punto è possibile registrare una costante evoluzione, oltre che normativa, giurisprudenziale (cfr. Corte Costituzionale, con decisione n. 33 del 9 marzo 2021; Sezioni Unite Civili n.12193/2019; Corte di Cassazione, sez. I civile, ordinanza interlocutoria n. 1842 del 22/01/2022).

Con ordinanza del 26 luglio 2021, il Tribunale ordinario per i minorenni dell’Emilia Romagna sollevava, in riferimento agli articoli 3, 31 e 117, primo comma, della Costituzione, quest’ultimo in relazione all’art. 8 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU) questione di legittimità costituzionale dell’art. 55 della legge 4 maggio 1983, n. 184 (Diritto del minore ad una famiglia), nella parte in cui, mediante rinvio all’art. 300, secondo comma, del codice civile, stabilisce che l’adozione in casi particolari non induce alcun rapporto civile tra l’adottato e i parenti dell’adottante.

Al riguardo, il giudice a quo riferiva che il giudizio aveva ad oggetto due domande: a) la richiesta di adozione, ai sensi dell’art. 44, comma 1, lettera d), della legge n. 184 del 1983 e b) la richiesta di riconoscimento dei rapporti civili della minore con i parenti del ricorrente.

Preliminarmente, appare il caso di sottolineare che il minore è nato attraverso il ricorso alla tecnica di procreazione medicalmente assistita all’estero, segnatamente della fecondazione eterologa, e che il remittente, previo assenso della madre biologica /partener -componente dell’unione civile regolarmente trascritta-, aveva la volontà di adottare il minore.

Il giudice a quo affermava di poter accogliere la domanda di adozione, così come avallato dalla sentenza n.12193/2019 delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, ma non la richiesta di riconoscimento dei rapporti civili delminore con i parenti del ricorrente.

L’ostacolo a tale accoglimento è rinvenibile nel rinvio che l’articolo 55 della legge n. 184 del 1983 opera all’art. 300, secondo comma, cod. civ., nella parte in cui stabilisce che «[l]’adozione non induce alcun rapporto civile […] tra l’adottato e i parenti dell’adottante, salve le eccezioni stabilite dalla legge».

Il giudice a quo rilevava che l’esclusione dei rapporti civili fra l’adottato e i parenti dell’adottante sarebbe in contrasto con gli articoli 3 e 31 Cost., in quanto in antinomiacon il principio di parità di trattamento di tutti i figli, nati all’interno o fuori dal matrimonio e adottivi. Inoltre, tale esclusione sarebbe in contrasto con l’art. 117, primo comma, Cost., in riferimento all’art 8 CEDU, “in quanto impedi[rebbe] al minore inserito nella famiglia costituita dall’unione civile di godere pienamente della sua “vita privata e familiare” intesa in senso ampio, comprensiva di ogni espressione della personalità e dignità della persona ed anche del diritto alla identità dell’individuo”.

Prima di risolvere la questione di costituzionalità, il collegio esegue un’efficace ricostruzione del quadro normativo relativo all’adozione in casi particolari.

L’istituto è stato introdotto dalla legge n. 184 del 1983 per far fronte a situazioni particolari, le quali consentono l’adozione a condizioni differenti rispetto a quelle richieste per l’adozione cosiddetta piena.

L’adozione in questione aggrega una varietà di ipotesi particolari riconducibili a due fondamentali rationes: a) valorizzare l’effettività di un rapporto istauratosi con il minore e b) far fronte alle difficoltà per taluni minori di accedere all’adozione piena.

Al riguardo, appare opportuno sottolineare che il dato legislativo è stato valorizzato dal diritto vivente in almeno altre due occasioni. La prima è quella dell’efficace immagine dell’adozione aperta o mite. “Il minore non abbandonato, ma i cui genitori biologici versino in condizioni che impediscono in maniera permanente l’effettivo esercizio della responsabilità genitoriale (cosiddetto «semi-abbandono permanente»), può sfuggire al destino del ricovero in istituto o al succedersi di affidamenti temporanei, tramite l’adozione in casi particolari, che viene applicata sul presupposto dell’impossibilità di accedere all’adozione piena (art. 44, comma 1, lettera d), impossibilità dovuta proprio alla mancanza di un abbandono in senso stretto.L’adozione in casi particolari, che non recide i legami con la famiglia d’origine, consente, pertanto, di non forzare il ricorso all’adozione piena. Quest’ultima, in difetto di un vero e proprio abbandono, andrebbe a ledere il «diritto al rispetto della vita familiare» dei genitori biologici, come sottolinea la Corte EDU, la quale cautamente suggerisce proprio il percorso della «adozione semplice» (Corte EDU, sentenza 21 gennaio 2014, Zhou contro Italia”.

Altresì, l’articolo 44, comma 1, lettera d), della legge n.184/983 è stato utilizzato nei casi di adozione del figlio biologico del partner, nelle ipotesi in cui il richiedente era impossibilitato ad adottare il minore. “Si tratta, per un verso, del convivente di diverso sesso del genitore biologico, che non rientra nella lettera b) riferita al solo coniuge. Per un altro verso, vengono in considerazione il partner in un’unione civile o il convivente dello stesso sesso del genitore biologico, che hanno spesso condiviso con quest’ultimo un percorso di procreazione medicalmente assistita (PMA) effettuata all’estero, posto che la legge 19 febbraio 2004, n. 40 (Norme in materia di procreazione medicalmente assistita) consente l’accesso alla PMA alle sole coppie di diverso sesso”.

Ciò ha condottola giurisprudenza a riconoscere all’articolo 44, comma 1, lettera d), della legge n.184/983 la natura di istituto funzionalmente posto alla tutela degli interessi del minore e non alla tutela del cosiddetto diritto alla genitorialità del richiedente.

Ciò premesso, il collegio passa alla verifica sul se la condizione giuridica del minore adottato in casi particolari possa essere equiparata allo status di figlio minore e se sussistano o meno le ragioni che giustifichino il mancato istaurarsi di rapporti civili tra l’adottato e i parenti dell’adottante.

La Corte chiarisce che l’adozione in casi particolari realizza il preminente interesse del minore e che l’adottante, ai sensi dell’articolo 48, commi 1 e 2, della legge n. 184 del 1983, assume la «responsabilità genitoriale» e ha «l’obbligo di mantenere l’adottato, di istruirlo ed educarlo conformemente a quanto prescritto dall’art. 147 del codice civile».

In altri termini, si sommano alla responsabilità genitoriale e ai doveri verso i figli gli altri molteplici effetti dell’adozione di matrice codicistica: “l’adottante trasmette il suo cognome all’adottato, che diviene suo erede non solo legittimo, ma legittimario; se il figlio adottivo non può o non vuole ereditare dall’adottante, opera la rappresentazione a beneficio dei suoi discendenti; l’adozione determina l’automatica revoca del testamento dell’adottante; sorgono fra adottato e adottante reciproci obblighi alimentari; il figlio adottivo è ricompreso nell’«ambito della famiglia» di cui all’art. 1023 cod. civ.; i vincoli parentali rilevano ai fini dei divieti matrimoniali”.

Pertanto, da tale quadro normativo emerge che il minore adottato ha lo status di figlio e nondimeno esso si vede privato del riconoscimento giuridico della sua appartenenza a quell’ambiente familiare che il giudice è chiamato per legge a valutare ai fini dell’adozione (art. 57, comma 2, della legge n. 184 del 1983).

Ne consegue che, a dispetto della unificazione dello status di figlio, al solo minore adottato in casi particolari vengono negati i legami parentali con la famiglia del genitore adottivo.

Irragionevolmente un profilo così rilevante per la crescita e per la stabilità di un bambino viene regolato con la disciplina di un istituto, qual è l’adozione del maggiore d’età, plasmato su esigenze prettamente patrimoniali e successorie.

La norma censurata priva, in tal modo, il minore della rete di tutele personali e patrimoniali scaturenti dal riconoscimento giuridico dei legami parentali, che il legislatore della riforma della filiazione, in attuazione degli artt. 3, 30 e 31 Cost., ha voluto garantire a tutti i figli a parità di condizioni, perché tutti i minori possano crescere in un ambiente solido e protetto da vincoli familiari, a partire da quelli più vicini, con i fratelli e con i nonni.

Al contempo, la disciplina censurata lede il minore nell’identità che gli deriva dall’inserimento nell’ambiente familiare del genitore adottivo e, dunque, dall’appartenenza a quella nuova rete di relazioni, che di fatto vanno a costruire stabilmente la sua identità”.

Ciò appare in contrasto con quanto sostenuto dalla più recente giurisprudenza che ritiene che “l’adozione in casi particolari ex art. 44 l. adoz. crea un vincolo di filiazione giuridica che si sovrappone a quello di sangue, non estinguendo il rapporto con la famiglia di origine» (Corte di cassazione, sezione prima civile, ordinanza 22 novembre 2021, n. 35840; Corte di cassazione, sezioni unite civili, sentenza 13 maggio 2020, n. 8847)”.

Conseguentemente, la Corte Costituzionale ritiene che “l’art. 55 della legge n. 184 del 1983, nella parte in cui esclude, attraverso il rinvio all’art. 300, secondo comma, cod. civ., l’instaurarsi di rapporti civili tra il minore adottato in casi particolari e i parenti dell’adottante, vìola gli artt. 3, 31, secondo comma, e 117, primo comma, Cost., quest’ultimo in relazione all’art. 8 CEDU.

La rimozione della disposizione censurata nel suo rinvio all’art. 300, secondo comma, cod. civ non richiede coordinamenti sistematici, poiché, con riferimento alle relazioni parentali, è l’art. 74 cod. civ., come novellato nel 2012, che svolge tale precipua funzione.

La declaratoria di parziale illegittimità costituzionale non fa che rimuovere l’ostacolo legislativo che impediva di riferire il richiamo al figlio adottivo, di cui all’art. 74 cod. civ., al minore adottato in casi particolari.

Tale esito consente, pertanto, l’espansione dei legami parentali tra il figlio adottivo e i familiari del genitore adottante che condividono il medesimo stipite, mantenendo – grazie alla definizione adamantina dell’art. 74 cod. civ. – la distinzione fra i parenti della linea adottiva e quelli della linea biologica.

La chiarezza del meccanismo disegnato dall’art. 74 cod. civ. permette, di riflesso, di applicare, in maniera del tutto lineare, le conseguenze e gli effetti giuridici che nel sistema normativo discendono dalla sussistenza dei legami familiari, sicché potranno applicarsi al figlio adottivo tutte le norme che hanno quale presupposto l’esistenza di rapporti civili fra l’adottato e i parenti dell’adottante”.

Pertanto, il collegio “dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 55 della legge 4 maggio 1983, n. 184 (Diritto del minore ad una famiglia), nella parte in cui, mediante rinvio all’art. 300, secondo comma, del codice civile, prevede che l’adozione in casi particolari non induce alcun rapporto civile tra l’adottato e i parenti dell’adottante”.