La pillola di diritto del 7.9.2020 Bancarotta fraudolenta documentale e occultamento e distruzione di documenti per evadere il fisco: specialità reciproca e ne bis in idem

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Corte di Cassazione, sez. V penale, Sentenza n. 22486 del 24.07.2020

  1. L’imputato ha distrutto o occultato documenti contabili e ciò ha comportato la contestazione tanto del reato di cui all’art. 10 del d.lgs. 274/2000 (condotta commessa al fine di evadere le imposte) quanto del reato di cui all’art. 216 n. 2 l. fall. (che punisce il fallito che “ha sottratto, distrutto o falsificato, in tutto o in parte, con lo scopo di procurare a sé o ad altri un ingiusto profittoo di recare pregiudizi ai creditori, i libri o le altre scritture contabilio li ha tenuti in guisa da non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio o del movimento degli affari”).
  2. La Corte precisa che le due fattispecie sono in rapporto di specialità reciproca in quanto offendono beni giuridici diversi e sono animati da un diverso fine; “analizzando il profilo della fattispecie astratta (come sempre va fatto, allorché si tratti di risolvere il dilemma: concorso apparente di norme o concorso formale di reati?)” emerge, infatti che i reati divergono quanto: a) al differente oggetto materiale dell’illecito; b) ai diversi destinatari del precetto penale; c) al differente oggetto del dolo specifico; d) al divergente effetto lesivo delle condotte di reato.

La bancarotta documentale e il reato di cui all’art. 10 cit. integrano, quindi, una ipotesi di concorso formale di reati e “non pongono – allorché siano trattati congiuntamente – problemi di precedente giudicato, né di preclusione processuale”.

  1. Cionondimeno, l’applicazione del principio del “ne bis in idem” alla luce della giurisprudenza costituzionale e sovranazionale impedisce che siano contestati (e, a maggior ragione, che vi sia condanna per) entrambi i reati qualora le condotte siano empiricamente sovrapponibili ossia riguardino il medesimo compendio documentale.

La Corte rammenta in proposito che “ai fini della preclusione connessa al principio “ne bis in idem”, l’identità del fatto sussiste quando vi sia corrispondenza storico-naturalistica nella configurazione del reato, considerato in tutti i suoi elementi costitutivi (condotta, evento, nesso causale) e con riguardo alle circostanze di tempo, di luogo e di persona” (Cass, SU, n. 34655 del 28/6/2005, n. 231799-01).

Tale impostazione, è stata accolta dalla Corte costituzionale (sentenza n. 200 del 31/5/2016), che ha, altresì, chiarito come tutti gli elementi del reato debbano essere “assunti nella loro dimensione empirica, sicché anche l’evento non potrà avere rilevanza in termini giuridici, ma assumerà significato soltanto quale modificazione della realtà materiale conseguente all’azione o all’omissione dell’agente”. In tal modo, prosegue la Sezione, “è assicurato il massimo dispiegarsi della funzione di garanzia sottesa all’art. 649 cod. proc. pen. – senza compromissione di altri principi di rilievo costituzionale – e si evita che la valutazione comparativa – cui è chiamato il giudice investito del secondo giudizio – sia influenzata dalle sempre opinabili considerazioni sulla natura dell’interesse tutelato dalle norme incriminatrici, sui beni giuridici offesi, sulla natura giuridica dell’evento, sul ruolo che ha un medesimo elemento all’interno delle fattispecie, sulle implicazioni penalistiche del fatto e su quant’altro concerne i singoli reati”.