𝐈 𝐩𝐫𝐞𝐬𝐮𝐩𝐩𝐨𝐬𝐭𝐢 𝐝𝐞𝐥 𝐝𝐢𝐫𝐢𝐭𝐭𝐨 𝐝𝐢 𝐚𝐜𝐜𝐞𝐬𝐬𝐨 𝐝𝐚 𝐌𝐚𝐫𝐚𝐝𝐨𝐧𝐚 𝐚𝐥 𝐜𝐚𝐬𝐨 𝐄𝐬𝐩𝐨𝐬𝐢𝐭𝐨-𝐅𝐫𝐚𝐧𝐜𝐨 di Arcangelo Monaciliuni

I presupposti del diritto di accesso da Maradona al caso Esposito-Franco

Note alla sentenza del TAR del Lazio, Roma, Sezione prima, n. 13332 dell’11 dicembre 2020 in tema di diritto d’accesso agli atti.

di Arcangelo Monaciliuni

Mediante la sentenza in commento il TAR del Lazio, sezione prima, ha annullato il diniego opposto dalla Procura Generale della Repubblica presso la Corte di Cassazione alla richiesta del dott. Antonio Esposito, già Presidente titolare della Seconda Sezione Penale presso la stessa Suprema Corte, di essere ammesso ad accedere agli atti del procedimento disciplinare intentato “a carico del dott. Amedeo Franco su esposto dello stesso dott. Esposito”.

La richiesta di accesso era stata avanzata a seguito della “nuova campagna di stampa” avviata nel giugno del 2020 (ve ne era stata una precedente nel 2015) “relativa alla registrazione di alcune dichiarazioni rese dal dott. Amedeo Franco, nelle more deceduto, in un incontro avuto con l’on. Berlusconi, che hanno gettato una grave ombra sull’imparzialità del Collegio giudicante e, in particolare, del Presidente Esposito”. L’ombra in questione era data dai contenuti delle dichiarazioni del dott. Franco, dalle quali poteva esser dato trarre che Berlusconi fosse stato “ingiustamente condannato nel processo c. detto “Diritti Mediaset” (Presidente Esposito e Relatore Franco) “anche e soprattutto per la prevenzione e la non imparzialità del Presidente del Collegio, dott. Esposito”. In tali sensi, pag. 4 dell’esposizione in fatto della sentenza qui oggi in commento.

Sempre per come leggesi nel corpo della pronuncia, alla richiesta del Presidente Esposito di “notizie in merito all’esito del procedimento attivato nei confronti del dott. Franco” a seguito del suo (risalente) esposto, la Procura dapprima “si limitava a comunicare che il procedimento originato dall’esposto è stato definito” e, di poi, in sede di riscontro all’istanza di accesso ai contenuti del provvedimento (di definizione del procedimento disciplinare), avanzata dal Presidente Esposito con apposito atto del 4 luglio 2020, affermava che “i dati e gli atti richiesti sono sottratti sia all’istituto dell’accesso documentale, sia a quello dell’accesso generalizzato” e, per l’effetto, respingeva la richiesta.

Da qui, riannodando le fila, l’impugnativa giurisdizionale definita dal Tar Lazio con la sentenza di accoglimento.

Di una vicenda recante, mutatismutandis, profili per qualche verso analoghi in tema di predicabilità dell’interesse all’accesso, chi scrive ebbe modo di occuparsi anni fa in qualità di relatore/estensore della pronuncia che definì il relativo contenzioso (TAR Campania, sezione sesta, sentenza n. 2118/2014).

Equitalia Sud aveva negato a Maradona l’accesso alla notoria cartella esattoriale e, in sede giudiziaria, aveva negato l’interesse alla sua acquisizione nel sostanziale assunto che, alla stregua dell’avvenuta definizione dei giudizi di merito che avevano interessato la debenza o meno da parte di Maradona delle somme al Fisco, non poteva ritenersi residuare alcun interesse diretto, concreto ed attuale al richiesto accesso.

Sul punto la risposta del Collegio (il ricorso di Maradona venne accolto) fu che “il petitum sostanziale in azioni quali quella qui data non è e non può essere mai costituito dalla verifica della legittimità della pretesa” (lì tributaria) “ma da quella solo del diniego a mettere a disposizione dell‘istante la documentazione richiesta, ovvero dell’illegittimo frapporsi al diritto all’accesso, materia questa sola che rientra nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo … (omissis) .. La norma non richiede per l’ostensibilità del documento la pendenza di un giudizio, o la dichiarazione di volerlo proporre, né a fortiori autorizza valutazioni in ordine alla concreta utilità del documento rispetto alle ragioni difensive dell’istante, non foss’altro perché spesso è la stessa amministrazione ad essere indicata quale responsabile della lesione della posizione giuridica che l’istante vuol tutelare, sicché lasciare all’amministrazione il sindacato sull’utilità ed efficacia del documento in ordine all’esito della causa, significherebbe dare ad una parte del giudizio il dominio della causa. Ciò non significa che l’amministrazione non debba fare alcuna valutazione: piuttosto la valutazione deve riguardare il “collegamento” della situazione giuridica da tutelare con il documento del quale è richiesta l’ostensione. L’amministrazione deve dunque consentire l’accesso se il documento contiene notizie e dati che, secondo quanto esposto dall’istante, nonché alla luce di un esame oggettivo, attengono alla situazione giuridica tutelata (ad esempio, la fondano, la integrano, la rafforzano o semplicemente la citano) o con essa interferiscono in quanto la ledono, ne diminuiscono gli effetti, o ancora documentano parametri, criteri e giudizi, rilevanti al fine di individuare il metro di valutazione utilizzato in procedure concorsuali. Accertato il collegamento, ogni altra indagine sull’utilità ed efficacia in chiave difensiva del documento, od ancora, sull’ammissibilità o tempestività della domanda di tutela prospettata, è sicuramente ultronea…”.

In tali sensi, con affermazioni sostanzialmente analoghe, (ma) rapportate alla più specifiche situazioni di volta in volta in concreto date, l’unanime giurisprudenza amministrativa, ovvero il “diritto vivente”.

Orbene, nel caso che qui ora ne occupa, appare del tutto evidente “il collegamento” fra la situazione giuridica da tutelare e gli esiti del procedimento disciplinare. Il dott. Esposito ha precisato e documentato, nell’istanza ed in ricorso, “di dover attivare e, in parte, di aver già attivato, precisi rimedi in sede giurisdizionale, tendenti, nella sostanza, a smentire le affermazioni del defunto collega dott. Franco, divulgate appunto con tali mezzi.”. E tanto basta, come, in adesione al cennato “diritto vivente”, statuito dal Tar del Lazio nella ripetuta pronuncia in commento che si è fatta carico di negare l’applicabilità/pertinenza al caso di specie di ciascuna delle diverse pronunce giurisprudenziali evocate dalla difesa erariale a sostegno della legittimità dell’opposto diniego.

Ma sia consentito aggiungere che siffatta conclusione era del tutto scontata.

Nell’ordinamento nazionale la “trasparenza”, intesa come presidio normativo dell’art. 97  Cost. e codificata, quale diritto all’accesso ai documenti, dall’art. 22 e ss. della legge n. 241 del 1990 e successive modifiche ed integrazioni, si atteggia a punto di confluenza di principi costituzionali, buon andamento della P.A., legalità sostanziale, partecipazione del cittadino alla vita democratica e, quindi, assurge a fonte di istituti sì diversi, ma tutti tesi ad assicurare concretezza alla “disclosure”, di guisa che la difesa ad oltranza del diritto alla riservatezza va nella direzione opposta a quei modelli di amministrazione condivisa, policentrica, pluralistica e paritaria.

E, nella fattispecie che ne occupa appare, per l’appunto, una “difesa ad oltranza” sia:

– il tentativo, stroncato dal giudice capitolino, di far leva sulle ben diverse previsioni e relativa giurisprudenza afferenti all’accesso civico generalizzato: del tutto chiara la diversità strutturale degli interessi giuridici presi in considerazione (e tutelati) dalle due diverse tipologie di accesso che non consentono fra loro sovrapposizioni, operando in contesti e per finalità differenti;

– l’aver invocato, per sottrarsi alla disclosure, l’inapplicabilità al caso di specie delle norme concernenti il procedimento amministrativo, ovvero la natura giurisdizionale della fase pre-disciplinare, all’uopo invocando la previsione del D.M. 115/96 (recante il “Regolamento concernente le categorie di documenti formati o stabilmente detenuti dal Ministero di grazia e giustizia e dagli organi periferici sottratti al diritto d’accesso”) a tenore della quale è sottratta all’accesso, per l’esigenza di salvaguardare la riservatezza di terzi, la “documentazione attinente a procedimenti penali e disciplinari, ovvero utilizzabile ai fini dell’apertura di procedimenti disciplinari, nonché concernente l’istruzione dei ricorsi amministrativi prodotti dal personale dipendente” (art. 4, comma 1, lett. i).

Ed invero, come ricordato nella sentenza qui annotata con puntuale ed assorbente considerazione, l’art. 24 della “legge” 241/90, che disciplina l’esclusione dall’accesso “documentale”, al comma 7, precisa che “Deve comunque essere garantito ai richiedenti l’accesso ai documenti amministrativi la cui conoscenza sia necessaria per curare o per difendere i propri interessi giuridici”. E siffatta precisazione, a tacere della sua piana prevalenza nella gerarchia delle fonti, deve ritenersi, per implicito, contenuta nello stesso art. 4 del ripetuto decreto ministeriale (recante, l’art. 4, la individuazione delle categorie di documenti inaccessibili per motivi di riservatezza di terzi) il cui incipit recita “Ai sensi dell’art. 24, legge 7 agosto 1990, n. 241, nonché ai sensi dell’art. 8, comma 5, lettera a), del decreto del Presidente della Repubblica 27 giugno 1992, n. 352….”.

Un’ultima considerazione si impone. Se il procedimento è stato “definito”, come è da ritenersi con una pronuncia “declaratoria del non luogo a procedere” ex art. 17, commi 6 ed 8, d.l.vo 23 febbraio 2006, n 109 (recante la “Disciplina degli illeciti disciplinari dei magistrati…”), ossia di archiviazione, come sintetizzato dal Tar, vieppiù non son date intravedere ragioni atte a potersi frapporre all’accesso. Ed invero la normativa, primaria e secondaria, conosce gli istituti del differimento, ove mai esigenze di riservatezza dei procedimenti “in fieri” lo esigessero.