𝐂𝐨𝐧𝐜𝐞𝐬𝐬𝐢𝐨𝐧𝐢 𝐝𝐞𝐦𝐚𝐧𝐢𝐚𝐥𝐢 𝐦𝐚𝐫𝐢𝐭𝐭𝐢𝐦𝐞 𝐩𝐞𝐫 𝐟𝐢𝐧𝐚𝐥𝐢𝐭𝐚̀ 𝐭𝐮𝐫𝐢𝐬𝐭𝐢𝐜𝐨-𝐫𝐢𝐜𝐫𝐞𝐚𝐭𝐢𝐯𝐞

di Massimo Marasca

 Negli ultimi anni si registrano contrapposizioni tra fonti comunitarie e fonti interne in materia di beni pubblici e, nello specifico, di uso dei beni appartenenti al demanio marittimo concessi a privati per attività turistico-ricreative. Le contrapposizioni si sono peraltro acuite in seguito al recente intervento legislativo del decreto Rilancio, che ha esteso la restrittiva disciplina della concorrenza prevista per le concessioni demaniali marittime anche a quelle lacuali e fluviali.

Le concessioni demaniali marittime con finalità turistico ricreative, in Italia, hanno come oggetto un bene/servizio “limitato” nel numero e nell’estensione a causa della scarsità delle risorse naturali. La spiaggia, bene pubblico demaniale (art. 822 cc) e perciò inalienabile e impossibilitato a formare oggetto di diritto a favore di terzi (art. 823 c.c.), comincia dove finisce il lido e si estende verso terra per una larghezza variabile. Essa è costituita, non solo da quei tratti di terra prossimi al mare, ma anche da tutta la zona alluviata sorta per effetto del movimento geologico di retrocessione del mare, il cosiddetto arenile. L’accesso alla battigia (fascia di 5 metri dal limitare del mare) è sempre libero e gratuito anche in caso di presenza di stabilimenti balneari (art. 1, c. 251, lettera e) L. 296/2006).

Si tratta di concessioni traslative. È da rammentare che per concessione si intende quel provvedimento amministrativo con cui la P.A. conferisce ex novo posizioni giuridiche attive al destinatario ampliandone così la sfera giuridica. In particolare, mediante le concessioni traslative viene trasferito al destinatario del provvedimento un diritto soggettivo o un potere di cui la P.A. è titolare, ma che la stessa non intende esercitare direttamente, pur rimanendo la titolarità del diritto in testa alla P.A. (concessione su beni demaniali o patrimoniali indisponibili, concessioni di servizi pubblici, concessioni di pubbliche potestà, ad es. esattoria e tesoreria, concessioni di attività edilizia).

La concessione traslativa dà luogo a un uso particolare e eccezionale del bene demaniale, limitandone così  la fruizione della generalità dei consociati .

In generale il d.p.r. 13 settembre 2005 n. 296 regola il procedimento per l’affidamento in concessione, a titolo oneroso, anche a canone agevolato, o finanche gratuito, dei beni immobili demaniali dello Stato, amministrati dall’Agenzia Del Demanio, adibiti a finalità differenti da quelle abitative. Gli immobili dello Stato passibili di utilizzo e sfruttabili economicamente, per il tramite dello strumento della concessione o del contratto di locazione, sono identificati dall’Agenzia del demanio.

Si precisa, poi, come, con riferimento al procedimento, le concessioni e locazioni di beni immobili demaniali, queste, solitamente, avvengono, all’esito dell’esperimento di una procedura ad evidenza pubblica, tramite asta pubblica, ad eccezione di quei determinati e restanti casi, disciplinati dall’art. 2, comma 3 d.P.R. 296/2005, in cui è ammessa, invece, la negoziazione privata.

Per le concessioni demaniali marittime la disciplina di settore presenta delle asperità con il principio di libera concorrenza del diritto comunitario, inteso come concorrenza per il mercato[1] e in particolare si deve esaminare l’iter che ha condotto alla declaratoria di illegittimità comunitaria delle disposizioni nazionali che sancivano il diritto di insistenza[2], il rinnovo[3] o la proroga automatica.

In particolare, si devono prendere le mosse dalla nota AS481 del 20 ottobre 2008[4] con la quale l’AGCOM ha segnalato due norme dell’ordinamento nazionale: l’articolo 37, secondo comma, del codice della navigazione, il quale prevede che in presenza di più domande per il rilascio di una concessione demaniale marittima, venga riconosciuta preferenza al soggetto già titolare della concessione stessa (c.d. diritto di insistenza); l’articolo 01, comma 2, del D.L. n. 400/1993, che prevede che le concessioni demaniali marittime abbiano una durata di sei anni e siano automaticamente rinnovate ad ogni scadenza per ulteriori sei anni, a semplice richiesta del concessionario, fatto salvo il diritto di revoca di cui all’articolo 42 del codice della navigazione.

L’Autorità ritenne che, per tutelare la concorrenza, sarebbe opportuno prevedere:

  • procedure di rinnovo e rilascio delle concessioni basate sulla valutazione dell’effettiva equipollenza delle condizioni offerte dal concessionario e dagli altri aspiranti sul piano della rispondenza agli interessi pubblici;
  • idonea pubblicità della procedura, al fine di riconoscere alle imprese interessate le stesse opportunità concorrenziali rispetto al titolare della concessione scaduta o in scadenza;
  • l’eliminazione di tutti gli elementi che avvantaggiano a priori il precedente concessionario.

L’AGCM, citando la giurisprudenza del Consiglio di Stato, ha affermato che il c.d. diritto di insistenza può essere compatibile con i principi comunitari di parità di trattamento, eguaglianza, non discriminazione, adeguata pubblicità e trasparenza solo qualora rivesta carattere residuale e sussidiario, in una situazione di completa equivalenza tra diverse offerte.

Con riferimento al rinnovo automatico, l’Autorità ritiene che questo non stimoli il concessionario a corrispondere un canone più alto per la concessione e ad offrire migliori servizi agli utenti, favorendo inoltre comportamenti collusivi fra i soggetti titolari delle concessioni. Per quanto riguarda la durata della concessione, osserva che non è necessario parametrarla al tempo occorrente per il recupero degli investimenti effettuati, essendo sufficiente che il valore degli stessi al momento della gara, sia posto a base dell’asta.

Nella segnalazione vengono censurate anche disposizioni della Regione Friuli-Venezia Giulia (articolo 9 della legge regionale n. 22/2006 e decreto del Presidente della Regione n. 320/2007) che prevedono che il c.d. diritto di insistenza debba essere considerato, in misura variabile tra il 30% e il 10%, a seconda della finalità della concessione, in sede di comparazione delle istanze concorrenti per il rilascio della concessione.

Sulla problematica intervenne anche la Commissione europea, inviando all’Italia, il 29 gennaio 2009, una lettera di messa in mora (procedura di infrazione n. 2008/4908) con riferimento alle medesime norme nazionali e regionali sopra illustrate, contestandone la compatibilità con il diritto comunitario e, in particolare, con il principio della libertà di stabilimento. La Commissione ha ritenuto che tali norme costituiscano una discriminazione per le imprese provenienti da altri Stati membri, che si trovano nella condizione di essere ostacolati dalla preferenza accordata al concessionario uscente.

Facendo seguito all’avvio della procedura di infrazione, il 21 gennaio 2010 il Governo italiano ha notificato alla Commissione l’articolo 1, comma 18, del D.L. n. 194/2009 (convertito nella legge n. 25/2010), volto ad adeguare le disposizioni del codice della navigazione oggetto di rilievi, eliminando, in particolare, la preferenza in favore del concessionario uscente nell’ambito della procedura di attribuzione delle concessioni. Il comma 18 prevede inoltre che le concessioni demaniali in essere alla data del 30 dicembre 2009 (data di entrata in vigore del D.L. n. 194/2009) ed in scadenza entro il 31 dicembre 2015 siano prorogate fino a tale data.

Dopo aver esaminato la disposizione, la Commissione ha tuttavia tenuto ferma la procedura di infrazione, formulando ulteriori contestazioni all’Italia. In particolare, la Commissione ha rilevato alcune discrepanze tra il testo originario del D.L. n. 194/2009 e quello della relativa legge di conversione n. 25/2010, la quale recava, in particolare, un rinvio indiretto (non previsto nel testo del decreto legge) al sopra illustrato articolo 01, comma 2, del D.L. n. 400/1993. La Commissione ha ritenuto che tale rinvio, stabilendo il rinnovo automatico, di sei anni in sei anni, per le concessioni che giungono a scadenza, privasse nella sostanza di effetto il D.L. n. 194/2009 e fosse contrario alla normativa UE, in particolare con riferimento all’articolo 12 della direttiva 2006/123/CE sui servizi nel mercato interno (cosiddetta direttiva servizi)[5] e con l’articolo 49 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, che vieta le restrizioni alla libertà di stabilimento.

Alla luce delle suddette considerazioni la Commissione ha deciso, il 5 maggio 2010, di inviare all’Italia una lettera di messa in mora complementare con la quale chiedeva di trasmetterle, entro due mesi, le proprie osservazioni sui nuovi rilievi formulati.

In seguito agli ulteriori rilievi, con l’articolo 11 della legge n. 217/2011 (legge comunitaria 2010), è stato abrogato il già citato comma 2 dell’articolo 01 del D.L. n. 400/1993. Lo stesso articolo 11 ha inoltre delegato il Governo ad emanare, entro il 17 aprile 2013, un decreto legislativo avente ad oggetto la revisione e il riordino della legislazione relativa alle concessioni demaniali marittime.

In conseguenza di questi interventi legislativi, la procedura di infrazione è stata chiusa in data 27 febbraio 2012.

La questione è stata affrontata anche dalla Corte Costituzionale, dichiarando costituzionalmente illegittime alcune disposizioni regionali per mancato rispetto dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario (articolo 117, primo comma, della Costituzione) e, in alcuni casi, anche per violazione degli articoli 3 e 117, secondo comma, lett. a) ed e), della Costituzione. Le norme censurate prevedevano proroghe delle concessioni demaniali marittime in favore dei concessionari in essere[6].

Nonostante ciò, con l’articolo 34-duodecies del D.L. n. 179/2012, novellando il citato articolo 1, comma 18, del D.L. n. 194/2009, ha disposto la proroga sino al 31 dicembre 2020 delle concessioni demaniali in essere alla data del 30 dicembre 2009 (data di entrata in vigore del D.L. n. 194/2009) ed in scadenza entro il 31 dicembre 2015.

Successivamente l’articolo 1, comma 547 della legge n. 228/2012 (legge di stabilità 2013) ha esteso le previsioni dell’articolo 1, comma 18, del D.L. n. 194/2009, come sopra modificato, alle concessioni aventi ad oggetto: il demanio marittimo, per concessioni con finalità sportive; il demanio lacuale e fluviale per concessioni con finalità turistico-ricreative e sportive; i beni destinati a porti turistici, approdi e punti di ormeggio dedicati alla nautica da diporto.

Di contro, i Tribunali Amministrativi italiani hanno sollevato delle questioni pregiudiziali alla Corte di Giustizia, osservando come la normativa italiana ostacolasse l’applicazione del diritto comunitario e, in particolare, la libertà di stabilimento e la direttiva Bolkstein recepita con il dlgs 59/10.

I giudici amministrativi italiani sono stati investiti di alcuni ricorsi di annullamento di decisioni amministrative che negavano il rinnovo di concessioni relative allo sfruttamento di aree demaniali sul Lago di Garda (C-458/14 Promoimpresa) e sulle coste della Sardegna (C-67/15 sig. Melis), per inapplicabilità della proroga prevista dalla L. 221/2012, con cui il legislatore ha spostato in avanti, per un totale complessivo di 11 anni, la scadenza delle concessioni (rispetto alla fine del 2009 in cui la Direttiva avrebbe dovuto esser recepita)[7].

In dette sentenze la CGE ha concluso che una normativa come quella italiana osta all’applicazione del diritto comunitario con riferimento alla direttiva Bolkestein e alla libertà di stabilimento di cui all’art. 49 del TFUE.

A sostegno della decisione la Corte distingue tra concessioni transfrontaliere e non, evidenziando come le prime siano assoggettate alla direttiva Bolkstein mentre le seconde all’art. 49 TFUE.

Riguardo alle concessioni non transfrontaliere la Corte ammette che la normativa nazionale possa prevedere delle proroghe che risultino necessarie e proporzionate al fine di tutelare le esigenze di interesse generale concernenti la certezza del diritto, consentendo ai concessionari di ammortizzare gli investimenti svolti. Il supremo consesso comunitario reputa tuttavia che occorre distinguere in proposito tra concessioni anteriori all’anno 2000 e concessioni successive all’anno 2000: quelle anteriori al 2000 sono, infatti sorte <<quando non era ancora stato dichiarato che i contratti aventi un interesse transfrontaliero certo avrebbero potuto essere soggetti a obblighi di trasparenza, [il principio della certezza del diritto] esige che la risoluzione di siffatta concessione sia corredata di un periodo transitorio che permetta alle parti del contratto di sciogliere i rispettivi rapporti contrattuali a condizioni accettabili, in particolare, dal punto di vista economico»; diversamente quelle successive all’anno 2000 sono sorte «quando già era stato dichiarato che i contratti aventi un interesse transfrontaliero certo dovevano essere soggetti a obblighi di trasparenza, [ … ] il principio della certezza del diritto non può essere invocato per giustificare una disparità di trattamento vietata in forza dell’articolo 49 TFUE».

Relativamente alle concessioni transfrontaliere, la Corte sviluppa tre filoni argomentativi: quello relativo all’ambito applicativo degli art. 9 e 12 della direttiva Bolkstein; quello relativo alle peculiarità delle concessioni balneari e quello concernente l’insussistenza di motivi imperativi di interesse generale che potrebbero giustificare una deroga alla concorrenza.

Quanto all’ambito applicativo degli artt. 9 e 12 della Direttiva Bolkestein, la Corte precisa che la direttiva appena menzionata è stata attuata con il decreto legislativo n. 59 del 2010 perchè direttiva priva di efficacia diretta. Afferma, inoltre, che le “concessioni demaniali”, oggetto dei quesiti pregiudiziali, possono essere qualificate come “autorizzazioni” ai sensi dell’art. 12 della direttiva servizi in quanto «costituiscono atti formali, qualunque sia la loro qualificazione nel diritto nazionale, che i prestatori devono ottenere dalle autorità nazionali al fine di poter esercitare la loro attività economica». In terzo luogo l’art. 12 della direttiva impone l’espletamento di una procedura ad evidenza pubblica, di cui la pubblica amministrazione deve fornire adeguata pubblicizzazione, ove ricorrano due presupposti alternativi tra di loro, cioè la scarsità delle tecniche utilizzabili o delle risorse naturali a disposizione.

Il secondo filone argomentativo riguarda le peculiarità delle concessioni poste all’attenzione della Corte. Il Giudice comunitario evidenzia, infatti, non sono come le concessioni di cui alla direttiva 2014/23 (direttiva servizi recepita nel codice appalti) poichè «vertono non su una prestazione di servizi determinata dell’ente aggiudicatore, bensì sull’autorizzazione a esercitare un’attività economica in un’area demaniale». Inoltre, la proroga ha gli stessi effetti di un rinnovo automatico (mentre per giurisprudenza italiana sono diversi).

Il terzo spunto motivazionale della Corte si incentra sull’insussistenza dei motivi imperativi di interesse generale.  Secondo la CUGE la direttiva Ue consente agli Stati di tener conto, nello stabilire la procedura di selezione, di motivi imperativi di interesse generale, quali, la tutela del legittimo affidamento dei titolari delle autorizzazioni di modo che essi possano ammortizzare gli investimenti effettuati, ma tali considerazioni non possono giustificare una proroga automatica, quando al momento del rilascio iniziale delle autorizzazioni non sia stata organizzata alcuna procedura di selezione e, inoltre, l’affidamento andrà vagliato caso per caso tenendo conto dei principi della giurisprudenza comunitaria.

Dopo questa sentenza la giurisprudenza nazionale ha disapplicato la normativa italiana che stabiliva la proroga automatica per contrasto con il diritto comunitario. Il Consiglio di Stato sentenza n. 7874 del 18 novembre 2019, sul tema delle proroghe alle concessioni demaniali marittime, afferma la non conformità delle medesime al diritto europeo. Ancora una volta, richiamandosi la nota sentenza della Corte di Giustizia del 14 luglio 2016 la giurisprudenza amministrativa conferma che l’assegnazione delle concessioni demaniali marittime, in quanto rappresenta un’occasione di guadagno, deve essere preceduta di regola da una fase di evidenza pubblica.

Nella parte in diritto della sentenza emerge come, già prima della celebre pronuncia della Corte di giustizia, il Consiglio di Stato aveva sancito in precedenti pronunce, l’illegittimità di una normativa sulle proroghe ex lege della scadenza di concessioni demaniali, perché equivalenti a un rinnovo automatico di per sé ostativo a una procedura selettiva. Inoltre, risulta già affermata, sempre nella giurisprudenza precedente, l’illegittimità di leggi regionali contemplanti, a talune condizioni, la proroga automatica delle concessioni del demanio marittimo al già titolare, evidenziando che proroga e rinnovo automatico, determinando una disparità di trattamento tra operatori economici mediante preclusioni o ostacoli alla gestione dei beni demaniali oggetto di concessione, violano in generale i principi del diritto comunitario su libertà di stabilimento e tutela della concorrenza.

Pertanto, con la sentenza n. 7874 del 18 novembre 2019, VI Sezione, il Consiglio di Stato applicando la normativa e la giurisprudenza dell’Unione Europea, stabilisce che le leggi nazionali italiane che prevedono proroghe automatiche delle concessioni demaniali marittime siano in contrasto con il diritto europeo e che vadano pertanto disapplicate.

Peraltro, la disapplicazione ha effetti anche in materia penale. Pronunciandosi sul ricorso proposto avverso la ordinanza con cui il tribunale del riesame aveva annullato il decreto emesso dal G.i.p. del Tribunale, che aveva disposto il sequestro preventivo di uno stabilimento balneare ritenendo sussistere il reato di abusiva occupazione di spazio demaniale marittimo (artt. 54 e 1161, cod. nav.), la Corte di Cassazione (sentenza 21 ottobre 2020, n. 29105) – nell’accogliere il ricorso del PM, che aveva sostenuto come, in assenza di un provvedimento mai formalmente rinnovatosi, era configurabile il reato contestato, illecito di natura permanente, con conseguente sussistenza del periculum in mora – ha infatti ribadito che deve essere disapplicata la normativa italiana che, stabilizzando gli effetti della proroga automatica delle concessioni demaniali marittime, contrasta con l’art. 12, par. 1 e 2, della direttiva 2006/123/CE del 12 dicembre 2006 (c.d. direttiva Bolkestein) e, comunque, con l’articolo 49 TFUE.

In seguito alla pronuncia della Cuge del 2016 anche il legislatore italiano è tornato sul tema.

Innanzitutto con è intervenuto con la legge 30 dicembre 2018, n. 145, recante “Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2019 e bilancio pluriennale per il triennio 2019-2021” (Legge di Bilancio 2019), Il comma 675 dispone l’emanazione entro 120 giorni dalla data di entrata in vigore della legge, di un decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, che fissi i termini e le modalità per la generale revisione del sistema delle concessioni demaniali marittime. La finalità indicata nella norma è quella di tutelare, valorizzare e promuovere il bene demaniale delle coste italiane, che rappresenta un elemento strategico per il sistema economico, di attrazione turistica e di immagine del Paese, in un’ottica di armonizzazione delle normative europee. Il DPCM dovrà essere adottato su proposta del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti e del Ministro per le politiche agricole, alimentari, forestali e del turismo, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, sentito il Ministro dello sviluppo economico, il Ministro degli affari europei, il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, il Ministro per gli affari regionali e la Conferenza delle Regioni e delle Province autonome. 73 Si ricorda che sulla materia delle concessioni demaniali marittime interviene anche il comma 246, introdotto al Senato, che consente ai titolari di concessioni demaniali marittime e punti di approdo con finalità turistico ricreative di mantenere installati i manufatti amovibili fino al 31 dicembre 2020 data di scadenza della proroga delle concessioni in essere al 31 dicembre 2015 – nelle more del riordino della materia. I contenuti del DPCM sono fissati in modo specifico dai commi 676 e 677 della legge di Bilancio. Con un successivo DPCM saranno definiti i principi ed i criteri tecnici per l’assegnazione delle concessioni sulle aree demaniali marittime (comma 680). Tale DPCM sarà emanato su proposta del Ministro dello sviluppo economico di concerto con il Ministro delle politiche agricole alimentari, forestali e del turismo, il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, il Ministro dell’economia e delle finanze e il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare.  Al termine della consultazione pubblica, ed in base ai principi e i criteri tecnici stabiliti da tale D.P.C.M. saranno assegnate le aree concedibili ma che alla data dell’entrata in vigore della legge di bilancio sono prive di concessioni in essere (comma 681). Per quanto riguarda le concessioni demaniali attualmente in essere, i commi 682, 683 e 684 ne stabiliscono la durata ex-lege di quindici anni, con decorrenza dalla data di entrata in vigore della presente legge.

I provvedimenti adottati per fronteggiare l’emergenza sanitaria del Covid-19 hanno introdotto a  loro volta delle novità nella disciplina.

L’articolo 18-bis del decreto liquidità (Decreto-Legge 8 aprile 2020, n. 23 convertito con modificazioni dalla L. 5 giugno 2020, n. 40)  sospende il pagamento dei canoni dovuti per il periodo dal 1° marzo 2020 al 31 luglio 2020 per l’uso di beni immobili appartenenti allo Stato.

L’articolo 164 del dl rilancio (DECRETO-LEGGE 19 maggio 2020, n. 34 convertito con modificazioni dalla L. 17 luglio 2020, n. 77) prevede che il Ministero della difesa, in caso di gare deserte, possa procedere alla dismissione unitaria di più immobili liberi inseriti in un unico fabbricato ovvero comprensorio abitativo, senza il riconoscimento del diritto di preferenza per il personale militare e civile del Ministero della difesa stesso.

L’articolo 182 del medesimo decreto stabilisce che le amministrazioni competenti non possono avviare o proseguire a carico dei concessionari, che intendono proseguire la propria attività mediante l’uso di beni del demanio marittimo, i procedimenti amministrativi per la devoluzione delle opere non amovibili, per il rilascio o l’assegnazione, con pubblica evidenza, delle aree oggetto di concessione alla data di entrata in vigore del decreto. L’utilizzo dei beni oggetto dei procedimenti amministrativi  è confermato a fronte del pagamento del canone previsto dalla concessione e impedisce il verificarsi della devoluzione delle opere. Le disposizioni non si applicano quando la devoluzione, il rilascio o l’assegnazione a terzi dell’area è stata disposta in ragione della revoca della concessione oppure della decadenza del titolo per fatto e colpa del concessionario diverso dal mancato pagamento dei canoni;

L’articolo 100 del cd decreto agosto (Decreto-Legge 14 agosto 2020, n. 104 convertito con modificazioni dalla L. 13 ottobre 2020, n. 126) stabilisce, al comma 1, che le disposizioni di cui all’articolo 1, commi 682 e 683, della legge di bilancio 2019 relative alla durata quindicennale delle concessioni demaniali si applicano anche alle concessioni lacuali e fluviali, ivi comprese quelle gestite dalle società sportive iscritte al registro Coni di cui al decreto legislativo n. 242 del 1999, nonché alle concessioni per la realizzazione e la gestione di strutture dedicate alla nautica da diporto, inclusi i punti d’ormeggio, nonché ai rapporti aventi ad oggetto la gestione di strutture turistico ricreative in aree ricadenti nel demanio marittimo per effetto di provvedimenti successivi all’inizio dell’utilizzazione. ll comma 2 sostituisce, a decorrere dal 2021, il criterio di quantificazione dei canoni relativi alle concessioni demaniali marittime con finalità turistico ricreative per le pertinenze destinate ad attività commerciali, terziario-direzionali e di produzione di beni e servizi, applicando il criterio tabellare già applicato per le opere di difficile rimozione. Il comma 3 stabilisce che alle concessioni relative alla realizzazione e gestione di strutture dedicate alla nautica da diporto si applicano, con effetto dal 1° gennaio 2007, le misure dei canoni determinati secondo i valori tabellari di cui al comma 2, previsti per le concessioni demaniali marittime con finalità turistico ricreative. Viene precisato al comma 4 che dal 1° gennaio 2021 l’importo annuo del canone dovuto quale corrispettivo dell’utilizzazione di aree e pertinenze demaniali marittime con qualunque finalità non può, in ogni caso, essere inferiore a 2.500 euro. Il comma 5 stabilisce che nelle more della revisione e dell’aggiornamento dei canoni demaniali marittimi sono sospesi fino al 15 dicembre 2020i procedimenti amministrativi pendenti alla data di entrata in vigore del decreto e sono inefficaci i relativi provvedimenti già adottati oggetto di contenzioso, inerenti al pagamento dei canoni, compresi i procedimenti e i provvedimenti di riscossione coattiva, nonché di sospensione, revoca o decadenza della concessione per mancato versamento del canone; si tratta dei provvedimenti concernenti le concessioni demaniali marittime per finalità turistico-ricreative, con esclusivo riferimento a quelle inerenti alla conduzione delle pertinenze demaniali, laddove i procedimenti o i provvedimenti siano connessi all’applicazione dei criteri per il calcolo dei canoni per le concessioni indicate, e le concessioni demaniali marittime per la realizzazione e la gestione di strutture dedicate alla nautica da diporto.

Anche i nuovi interventi normativi sono stati interessati dalla scure della Commissione europea. Il 3 dicembre 2020 la Commissione Europea ha, infatti, deciso di inviare all’Italia una nuova lettera di costituzione in mora in merito al rilascio di autorizzazioni relative all’uso del demanio marittimo per il turismo balneare e i servizi ricreativi.

Si legge, nella comunicazione inerente le “decisioni sui casi d’infrazione” del sito della Commissione, che “gli Stati membri sono tenuti a garantire che le autorizzazioni, il cui numero è limitato per via della scarsità delle risorse naturali (ad esempio le spiagge), siano rilasciate per un periodo limitato e mediante procedura di selezione aperta, pubblica e basata su criteri non discriminatori, trasparenti e oggettivi”, ed ancora “In una sentenza del 14 luglio 2016 emessa a seguito di un rinvio pregiudiziale del tribunale amministrativo regionale della Lombardia (cause riunite C-458/14 e C-67/15), la Corte di giustizia dell’Unione europea ha stabilito che la normativa pertinente e la pratica esistente di prorogare automaticamente le autorizzazioni vigenti delle concessioni balneari erano incompatibili con il diritto dell’Unione. L’Italia non ha attuato la sentenza della Corte. Inoltre l’Italia da allora ha prorogato ulteriormente le autorizzazioni vigenti fino alle fine del 2033 e ha vietato alle autorità locali di avviare o proseguire procedimenti pubblici di selezione per l’assegnazione di concessioni, che altrimenti sarebbero scadute, violando il diritto dell’Unione”; infine, la comunicazione reca ” L’Italia dispone ora di 2 mesi per rispondere alle argomentazioni sollevate dalla Commissione, trascorsi i quali la Commissione potrà decidere di inviare un parere motivato.

[1] R. Chieppa, R. Giovagnoli, Manuale di diritto amministrativo, p. 265, Giuffrè Editore, 2011, che chiarisce la differenza tra concorrenza nel mercato e concorrenza per il mercato. La “concorrenza nel mercato” dovrebbe consentire agli imprenditori del settore di operare contemporaneamente nel mercato rilevante ad “armi pari” riuscendo al contempo a soddisfare leesigenze della comunità amministrata. La cd. “concorrenza per il mercato” consiste, invece, nello “scegliere” gli imprenditori cui affidare la erogazione di quel determinato servizio mediante procedure competitive di selezione ad evidenza pubblica, in modo da assicurare l’individuazione “dell’operatore più idoneo ad effettuare gli investimenti necessari e offrire il servizio migliore al minore costo” e attiene quindi all’accesso nel mercato.

[2] Il c.d. diritto di insistenza è la situazione giuridica soggettivo del concessionario di un bene pubblico, che accorda a quest’ultimo una preferenza rispetto ad altri aspiranti concessionari, nel momento in cui la P.A. deve procedere ad una nuova concessione del bene.

[3] il rinnovo presuppone una rinegoziazione delle condizioni, la proroga si riduce soltanto ad un mero differimento temporale (Sentenza n. 159 del 20 gennaio 2015 del Consiglio di Stato).

[4] Pubblicata nel  BOLLETTINO N. 39 DEL 12 NOVEMBRE 2008 della Camera.

[5] La libertà di stabilimento è così basata, in particolare, sul “principio della parità di trattamento” (in tal senso, Considerando 65, Direttiva 2006/123/CE, c.d. Bolkestein o servizi). Un cittadino deve, perciò, avere la possibilità di esercitare la libertà di stabilimento alle stesse condizioni definite dalla legislazione dello Stato di stabilimento nei confronti dei propri cittadini (cfr. C-55/94 Gebhard, p.to 33-34). Nel diritto europeo, poi, è bene sottolineare, viene ignorata la distinzione tra concessione e autorizzazione conosciuta, invece, dal diritto nazionale. Già nel considerando 39 della Direttiva Bolkestein, che ha tentato di dettare regole comunitarie comuni in materia di servizi, nella consapevolezza dell’esistenza di ostacoli comuni negli Stati membri e nei diversi settori, si fa genericamente riferimento ai “regimi di autorizzazione” (art. 9) ribadendo come le procedure e le formalità di autorizzazione debbano essere chiare, rese pubbliche preventivamente, e tali da garantire, ai richiedenti, che la loro domanda sarà trattata con obiettività e imparzialità (art. 13, par. 1, Direttiva Bolkestein). Pertanto, sia il meccanismo di rinnovo automatico, che impedisce -di fatto- l’accesso a nuovi potenziali operatori (cfr. Corte Cost., 180/2010, Corte Cost. 340/2010, Corte Cost. 213/2011), sia la preferenza sostanziale accordata al concessionario demaniale uscente, sono discriminatorie per le imprese provenienti da altri Stati membri, e vietate in quanto già contrarie all’art. 49 TFUE.

La Direttiva c.d. servizi 2006/123/CE all’art. 12 “selezione tra diversi candidati” ha chiarito, in particolare, come la pubblica amministrazione si debba comportare nell’assegnazione del titolo concessorio, nel caso in cui il numero di autorizzazioni rilasciabili per una determinata attività sia limitato a causa della scarsità delle risorse naturali, o per le capacità tecniche specifiche richieste per il suo esercizio. La procedura di selezione tra i candidati potenziali dovrà assicurare trasparenza ed imparzialità, nonché un’adeguata pubblicità dell’avvio della procedura e delle modalità di svolgimento e completamento. La contendibilità economica del bene aumenta, perciò, proprio dove la risorsa è limitata.

[6] Con sentenza n. 180/2010  ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’articolo 1 della legge della Regione Emilia-Romagna n. 8/2009, il quale prevedeva la possibilità, per i titolari di concessioni demaniali, di chiedere la proroga della concessione, fino ad un massimo di 20 anni dalla data del rilascio, subordinatamente alla presentazione di un programma di investimenti per la valorizzazione del bene. La Corte ha dichiarato la norma costituzionalmente illegittima perché determinava “un’ingiustificata compressione dell’assetto concorrenziale del mercato della gestione del demanio marittimo, invadendo una competenza spettante allo Stato, violando il principio di parità di trattamento (detto anche “di non discriminazione”), che si ricava dagli artt. 49 e ss. del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, in tema di libertà di stabilimento, favorendo i vecchi concessionari a scapito degli aspiranti nuovi.”. Con sentenza n. 233/2010  ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’articolo 36, comma 2, della legge della Regione Friuli-Venezia Giulia n. 13/2009, che prevedeva la proroga delle concessioni demaniali marittime affidate a soggetti non in possesso dei requisiti di legge. La proroga ha effetto sino all’individuazione del concessionario in possesso dei requisiti e comunque per un periodo non superiore a 12 mesi. La norma è stata dichiarata costituzionalmente illegittima per violazione degli articoli 3 e 117, primo e secondo comma, della Costituzione. Con sentenza n. 340/2010 che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’articolo 16, comma 2, della legge della Regione Toscana n. 77/2009. Tale disposizione prevedeva la possibilità di una proroga, fino ad un massimo di 20 anni, delle concessioni in essere, in ragione dell’entità degli investimenti realizzati e dei relativi ammortamenti. La Corte si è richiamata alla sua precedente decisione n. 180/2011 (sopra citata). Con sentenza n. 213/2011 che, con le medesime motivazioni sopra indicate, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale delle seguenti disposizioni: articolo 4, comma 1, della legge della Regione Marche n. 7/2010, il quale prevedeva la possibile estensione, su richiesta del concessionario, della durata della concessione, fino ad un massimo di 20 anni, in relazione all’entità e alla rilevanza economica delle opere realizzate; articolo 5 della legge della Regione Veneto n. 13/2010, che consentiva ai titolari di concessione in corso di validità, che avessero eseguito o che eseguissero, durante la vigenza della concessione, interventi edilizi, accompagnati o meno da acquisto di attrezzature e beni mobili, di chiedere la variazione della durata della concessione per un periodo compreso tra 7 e 20 anni (decorrenti dalla data di variazione); articoli 1 e 2 della legge della Regione Abruzzo n. 3/2010, i quali prevedevano la possibilità, per i titolari di concessioni demaniali, di richiedere l’estensione della durata della concessione fino ad un massimo di 20 anni, a partire dalla data di rilascio, in ragione dell’entità degli investimenti. Tale previsione era applicabile anche alle concessioni, il cui procedimento di rilascio fosse in corso alla data di entrata in vigore della norma.

[7] In concreto, nel 2010, la Promoimpresa aveva presentato domanda per il rinnovo della concessione di cui già beneficiava. La domanda era stata però respinta dal Consorzio dei Comuni della sponda bresciana, sia perché la concessione non poteva essere rinnovata automaticamente, sia perché questa non poteva essere ottenuta con una mera domanda di rinnovo, senza ricorrere all’evidenza pubblica. Tale decisione veniva così impugnata per violazione dell’art. 1, c. 18 del D.L 194/2009, convertito con legge 25/2010, che prorogava fino al 2015 la scadenza delle concessioni in essere. Invece, nel caso del sig. Melis, egli aveva presentato una richiesta formale di provvedimento di proroga, cui non era susseguita risposta, pertanto il ricorrente aveva presunto che si fosse formato, ex lege, il silenzio-assenso ed egli fosse legittimato a proseguire la propria attività. Senonché, successivamente, il Comune di Loiri Porto San Paolo aveva pubblicato un bando per l’aggiudicazione di sette nuove concessioni demaniali marittime, alcune delle quali riguardavano aree già oggetto delle concessioni in possesso del sig. Melis. Entrambi i giudici del rinvio precisano che, il rapporto intercorrente tra la Promoimpresa e il Consorzio, così come quello tra il sig. Melis e il Comune sardo presenta i caratteri di una “concessione”, come definita dal diritto dell’Unione. Il concessionario gode, per l’appunto, della facoltà di utilizzare il bene pubblico demaniale dietro il versamento periodico di un canone all’amministrazione concedente e il rischio di impresa rimane a carico del concessionario (p.ti 16 e 23 sentenza). Entrambi i giudici del rinvio pongono così ai giudici del Lussemburgo la questione pregiudiziale se i principi di libertà di stabilimento, non discriminazione e di tutela della concorrenza (di cui agli artt. 49, 56, 106 TFUE), ostino ad un normativa nazionale che determina la reiterata proroga del termine di scadenza di concessioni di beni del demanio marittimo di rilevanza economica. Il giudice sardo nello specifico chiede se tale incompatibilità sia rinvenibile direttamente da quanto previsto dall’art. 12 della Direttiva 2006/123/CE.