𝐋𝐚 𝐩𝐢𝐥𝐥𝐨𝐥𝐚 𝐝𝐢 𝐝𝐢𝐫𝐢𝐭𝐭𝐨 𝐜𝐢𝐯𝐢𝐥𝐞 𝐝𝐞𝐥 𝟐𝟖.𝟎𝟒.𝟐𝟎𝟐𝟐: La Cassazione sulla maternità surrogata e sul “genitore d’intenzione”

La Cassazione: sulla maternità surrogata e sul “genitore d’intenzione” (in tema di riconoscimento dell’atto di nascita formato all’estero)

a cura dell’avvocato Paolo Vincenzo Rizzardi

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Corte di Cassazione, sez. I civile, ordinanza interlocutoria n. 1842 del 22/01/2022

La presente ordinanza interlocutoria auspica il mutamento dell’orientamento giurisprudenziale, patrocinato dalle Sezioni Unite Civili n.12193/2019, che sostiene l’astratta e l’assoluta prevalenza dell’ordine pubblico internazionale, sotteso al divieto di maternità surrogata, di cui all’articolo 12, comma 6, della legge n. 40/2004, in relazione al riconoscimento del provvedimento giurisdizionale straniero con cui sia stato accertato il rapporto di filiazione tra un minore nato all’estero, mediante ricorso alla “gestazione per altri”, e il genitore d’intenzione.

Prima di proseguire nella trattazione dell’ordinanza in commento, appare opportuno, a parere di chi scrive, chiarire alcuni lemmi utilizzati tanto dalla Suprema Corte di Cassazione quanto dalla dottrina. Invero, per “genitore d’intenzione” si intende colui il quale non ha contribuito con il proprio patrimonio genetico (gamete) a concepire il minore, ma che con esso ha intenzione di istaurare un rapporto familiare. La maternità surrogata, invece, rappresenta una forma di procreazione medicalmente assistita, in forza della quale una donna provvede alla gestazione per conto di altri. Essa è vietata ai sensi dell’articolo 12, comma 6, della legge n. 40/2004 “Chiunque, in qualsiasi forma, realizza, organizza o pubblicizza la commercializzazione di gameti o di embrioni o la surrogazione di maternità è punito con la reclusione da tre mesi a due anni e con la multa da 600.000 a un milione di euro”.

Ciò premesso, il caso di specie riguarda il rifiuto opposto dall’ufficiale di stato civile del Comune di Verona di trascrivere l’atto di nascita del minore B.F.P., nel quale si attesta che il medesimo è figlio dei signori F.P e B.F.

I ricorrenti, cittadini italiani, coniugati in Canada, con matrimonio trascritto in Italia nel registro delle unioni civili dichiaravano che il bambino era nato con modalità tipiche della gestazione per altri “[…] essendo la fecondazione avvenuta tra un ovocita di una donatrice anonima e i gameti di F.P., con successivo impianto dell’embrione nell’utero di una diversa donna, non anonima, che aveva portato a termine la gravidanza e partorito il bambino; al momento della nascita le Autorità canadesi avevano formato un atto di nascita nel quale era indicato, come unico genitore, F.P., mentre né la donatrice dell’ovocita, né la cd. “madre gestazionale” erano dichiarate madri del minore.A seguito del ricorso presso la Suprema Corte della British Columbia, i ricorrenti avevano ottenuto […]una sentenza nella quale si dichiarava che entrambi erano genitori del minore con la conseguente modifica dell’atto di nascita”.

Tuttavia, il Comune di Verona rifiutava la richiesta di riconoscimento, attesa l’assenza di motivi normativi e precedenti giurisprudenziali favorevoli. Ciò ha condotto i ricorrenti a richiedere il riconoscimento, a norma degli articoli 33, 65, e 66 della legge n. 218/1995, della sentenza emessa in Canada al fine di ottenere il riconoscimento dello status filiationis, invocando la non contrarietà all’ordine pubblico della decisione dei giudici canadesi.

Con ordinanza del 16.7.18, la Corte d’appello di Venezia, in accoglimento del ricorso, ha accertato che la sentenza emessa dalla Suprema Corte della British Columbia in data 8.9.17 – che aveva riconosciuto F.P. e B.F. quali genitori di B.F.P., nato il (OMISSIS), a (OMISSIS) – possedeva i requisiti per il riconoscimento a norma della L. n. 218 del 1995, art. 67.

In particolare, la Corte territoriale veneziana nella sua motivazione ha osservato che: nella materia in esame vige tra i diritti fondamentali la tutela del superiore interesse del minore in ambito interno e internazionale, come sancita dalle convenzioni internazionali. Nell’ambito di questo assetto l’ordine pubblico internazionale impone l’esigenza imprescindibile di assicurare al minore la conservazione dello status e dei mezzi di tutela di cui possa validamente giovarsi in base alla legislazione nazionale applicabile, in particolare del diritto al riconoscimento dei legami familiari ed al mantenimento dei rapporti con chi ha legalmente assunto il riferimento della responsabilità genitoriale; né può ricondursi all’ordine pubblico la previsione che il minore debba avere genitori di sesso diverso […]”.

Avverso tale decisione l’Avvocatura dello Stato, nell’interesse del Ministero dell’Interno, proponeva ricorso per cassazione.

Invero, l’orientamento prevalente della giurisprudenza ritiene che “non può essere riconosciuto nel nostro ordinamento un provvedimento straniero che attribuisca lo status di figlio a un bambino nato in seguito a gestazione per altri, in un paese in cui tale pratica sia riconosciuta come legale, nei confronti del cd. genitore “d’intenzione” (colui cioè che non ha dato alcun apporto biologico alla procreazione), a causa dell’ostacolo, ritenuto insuperabile, ravvisato nel divieto di surrogazione di maternità, previsto dalla L. n. 40 del 2004, art. 12, comma 6, qualificabile (Sezioni unite civili, n. 12193/19)”.

In particolare, le Sezioni Unite civili, con sentenza n. 12913/19, avevano ritenuto astrattamente prevalente l’ordine pubblico internazionale, sotteso al divieto di maternità surrogata, rispetto al best interest del minore al riconoscimento dello status filiationis. Al riguardo, la Suprema Corte di Cassazione riteneva che la posizione del minore fosse adeguatamente salvaguardata dalla possibilità del genitore d’intenzione di adottarlo, ai sensi dell’articolo 44, comma 1, lettera d) della legge n. 184/1983.

Appare opportuno sottolineare che in seguito alla sentenza n. 12193/19, la Corte Costituzionale, con decisione n. 33 del 9 marzo 2021 dichiarava l’inammissibilità della questione relativa all’adeguatezza del diritto vivente, cristallizzato dalla citata pronuncia delle Sezioni Unite, rispetto agli articoli 2, 3, 30 e 31 della Costituzione. Al riguardo, l’ordinanza di remissione, infatti, sottolineava che  “[…]possibilità del ricorso al predetto istituto dell’adozione “in casi particolari” da parte del genitore di “intenzione”, a norma della L. n. 184 del 1983, art. 44, comma 1, lett. d), ritenuta percorribile dalle Sezioni Unite, nella richiamata sentenza n. 12193/19, e idonea a tutelare i diritti del bambino, non determina un vero rapporto di filiazione e non comporta né la effettività né la tempestività del riconoscimento del rapporto di filiazione ritenuta necessaria dalla Corte EDU”.

Ciò premesso, la Corte Costituzionale, pur dichiarando inammissibile la questione e chiarendo che in un caso del genere non venga in rilievo un “diritto alla genitorialità”, ritiene che la soluzione adottata dalla Sezioni Unite non appaia compatibile con i principi costituzionali e sovranazionali. Invero, al fine di attribuire un’idonea tutela alla sfera giuridica del minore appare “indubbio che l’interesse del bambino accudito sin dalla nascita da una coppia che aveva condiviso la decisione di farlo venire al mondo era ed è quello di ottenere il riconoscimento, anche giuridico, dei legami che, nella realtà fattuale, già lo uniscono ad entrambi i componenti della coppia, senza che ciò abbia implicazioni quanto agli eventuali rapporti giuridici tra il bambino e la madre surroga[..]sicché indiscutibile è l’interesse del bambino a che tali legami abbiano riconoscimento non solo sociale ma anche giuridico.[…]Ha rilevato poi la Corte Costituzionale che, sotto un secondo e non meno importante profilo, non è qui in discussione un preteso “diritto alla genitorialità” in capo a coloro che si prendono cura del bambino, ma unicamente l’interesse del minore a che sia affermata in capo a costoro la titolarità giuridica di quel fascio di doveri funzionali agli interessi del minore

[…]Ogni soluzione che non dovesse offrire al bambino alcuna chance di un tale riconoscimento, sia pure ex post e in esito a una verifica in concreto da parte del giudice, finirebbe per strumentalizzare la persona del minore in nome della pur legittima finalità di disincentivare il ricorso alla pratica della maternità surrogata; proprio questo rischio, d’altronde, la stessa Corte Costituzionale ha inteso evitare allorché ha dichiarato l’illegittimità costituzionale di una norma che vietava il riconoscimento dei figli nati da incesto, precludendo loro l’acquisizione di un pieno status filiationis, in ragione soltanto della condotta penalmente illecita dei loro genitori”.

Ciò ha condotto la Corte Costituzionale a ritenere che […] il ricorso all’adozione “in casi particolari” di cui alla L. 4 maggio 1983, n. 184, art. 44, comma 1, lett. d), ritenuto esperibile dalla sentenza n. 12193 del 2019 delle Sezioni unite civili, costituisce una forma di tutela degli interessi del minore che è certo significativa, ma non è ancora del tutto adeguata al metro dei principi costituzionali e sovranazionali rammentati; infatti, l’adozione “in casi particolari” non attribuisce infatti la genitorialità all’adottante

[…]Alla luce delle osservazioni e dei rilievi critici formulati, la Corte Costituzionale ha evidenziato che: il compito di adeguare il diritto vigente alle esigenze di tutela degli interessi dei bambini nati da maternità surrogata – nel contesto del difficile bilanciamento tra la legittima finalità di disincentivare il ricorso a questa pratica, e l’imprescindibile necessità di assicurare il rispetto dei diritti dei minori, nei termini sopra precisati – non può che spettare, in prima battuta, al legislatore, al quale deve essere riconosciuto un significativo margine di manovra nell’individuare una soluzione che si faccia carico di tutti i diritti e i principi in gioco; di fronte al ventaglio delle opzioni possibili, tutte compatibili con la Costituzione e tutte implicanti interventi su materie di grande complessità sistematica, questa Corte non può, allo stato, che arrestarsi, e cedere doverosamente il passo alla discrezionalità del legislatore, nella ormai indifferibile individuazione delle soluzioni in grado di porre rimedio all’attuale situazione di insufficiente tutela degli interessi del minore”.

 Alla luce di questo breve excursus, il collegio ritiene che si sia aperto un vuoto normativo, atteso il superamento, ad opera della Corte Costituzionale, del presupposto essenziale del bilanciamento tra i valori confliggenti, basato sull’articolo 44, comma1, lett. d) della legge n.184/1983. “In primo luogo che si sia di fronte a una situazione di vuoto normativo è convinzione che deriva dal venir meno dei due assunti su cui si basava il precedente delle Sezioni Unite vale a dire in primo luogo il bilanciamento a priori in via generale e astratta, compiuto implicitamente dal legislatore e basato sull’attribuzione al divieto penale della surrogazione di maternità di un valore prevalente rispetto al riconoscimento della filiazione nei confronti del genitore intenzionale.

In secondo luogo la legittimità di tale esclusione aprioristica del riconoscimento per essere praticabile da parte del genitore intenzionale la via, alternativa alla delibazione della sentenza straniera o alla trascrizione dell’atto di nascita formato all’estero, della adozione L. n. 184 del 1983, ex art. 44, lett. d)”.

Ciò ha indotto il collegio, da un lato a rimettere la questione al Primo Presidente, ai fini dell’eventuale assegnazione della questione alle Sezioni Unite e, dall’altro lato, ad apportare un proprio contributo.

La prima sezione sostiene che nel caso di specie si tratta di dare efficacia in Italia a un riconoscimento del rapporto di filiazione già avvenuto nell’ordinamento in cui il minore è nato, al fine di dare continuità al suo status filiationis e ai diritti che ne derivano. Altresì, sostiene che in una materia sensibile, come quella per cui si converte, appaia inammissibile una valutazione di tipo automatico volta a ritenere astrattamente prevalente l’ordine pubblico internazionale rispetto al riconoscimento dello status filiationis.

L’attenzione deve essere rivolta, in questa prospettiva, ai due valori che sono stati menzionati dalle precedenti pronunce sia della Corte Costituzionale che della giurisprudenza di legittimità vale a dire la dignità della donna coinvolta nel processo procreativo e la preservazione dell’istituto dell’adozione.

Sotto il primo profilo non può non ritenersi che la donna, che accetta di portare a termine una gravidanza anche nella prospettiva di non diventare la madre del bambino che partorirà, è in una condizione di soggezione che può essere considerata non lesiva della sua dignità solo se sia il frutto di una scelta libera e consapevole, indipendente da contropartite economiche e se tale scelta sia revocabile sino alla nascita del bambino. Se queste condizioni non sussistono e non sono effettive nell’ordinamento del paese in cui avviene la procreazione mediante gestazione per altri la violazione della dignità della donna assume un rilievo talmente importante da consentire il rifiuto della delibazione (e della trascrizione) sempre però in una ottica di valutazione, caso per caso, della soluzione che rispetti anche gli interessi del minore. Al contrario se queste condizioni sono esistenti e sono state rispettate il bilanciamento basato sul diniego aprioristico di riconoscimento degli effetti della sentenza straniera (o dell’atto formato all’estero) assume una connotazione di non inerenza alla soluzione di un concreto e attuale conflitto perché inconferente rispetto all’esigenza di tutela della dignità donna cui l’ordinamento straniero ha riconosciuto una libertà di scelta su una decisione che coinvolge la sua sfera personalissima di autonomia decisionale.

[…]Deve quindi ritenersi la non riconoscibilità in Italia degli effetti di una decisione giudiziaria che abbia sancito la filiazione derivante da surrogazione di maternità ma che sia stata ottenuta fraudolentemente in violazione delle leggi del paese che la consente da persone che non possono accedere alle procedure di adozione in Italia e intendono avvalersi delle tecniche di procreazione assistita mediante surrogazione di maternità senza rispettarne le condizioni legali di ammissione. Così come non è riconoscibile l’adozione che celi un accordo di maternità surrogata. Ma è anche da ritenere non riconoscibile una sentenza o un atto di nascita che accerti la filiazione in relazione a una surrogazione di maternità consentita dalla legge del paese in cui è avvenuta anche se i genitori intenzionali non hanno apportato alcun contributo genetico alla procreazione”.

 Ciò premesso, il quesito sottoposto al Primo Presidente, per l’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite è: “ Se la sentenza della Corte Costituzionale n. 33/2021, accertando l’inidoneità del ricorso in questa materia all’adozione in casi particolari, L. n. 184 del 1983, ex art. 44, lett. d) abbia determinato il superamento del diritto vivente rappresentato dalla sentenza n. 12193/2019 delle Sezioni Unite.

 Se la non attuazione del monito rivolto al legislatore dalla stessa sentenza n. 33/2021 abbia determinato di conseguenza un vuoto normativo.

 Se, e come, sia superabile in via interpretativa tale situazione di vuoto normativo non potendosi più il giudice, sia ordinario che di legittimità, riferire al preesistente diritto vivente che, in base alla motivazione della sentenza della Corte Costituzionale, non è idoneo a impedire la lesione dei diritti fondamentali del minore a causa del generale mancato riconoscimento del rapporto di filiazione con il genitore d’intenzione e nello stesso tempo per l’inadeguatezza della soluzione offerta dall’istituto di cui alla L. n. 184 del 1983, art. 44, lett. d).

 Se una possibile interpretazione adeguatrice consentita alle Corti possa consistere nel configurare la valutazione del conflitto del riconoscimento del rapporto di filiazione con il genitore di intenzione con l’ordine pubblico internazionale, spettante al giudice investito della richiesta di delibazione, come valutazione legata al singolo caso in esame, secondo criteri di inerenza, proporzionalità e ragionevolezza per come affermati dalla giurisprudenza costituzionale specificamente nell’ottica della ricerca della soluzione ottimale in concreto per l’interesse del minore.

 Se in tale valutazione il giudice debba mettere a confronto, in concreto, l’interesse del minore a che vengano rispettati i suoi diritti fondamentali alla identità personale e alla vita familiare con la tutela della dignità della donna coinvolta nel processo procreativo mediante gestazione per altri, con la prevenzione di qualsiasi attentato che, sempre in concreto, possa derivare dal riconoscimento all’istituto dell’adozione, con la legittima aspirazione dello Stato a scoraggiare pratiche elusive del divieto di surrogazione di maternità.

 Se i criteri generali indicati nella motivazione della presente ordinanza (adesione libera consapevole e non determinata da necessità economiche da parte della donna alla gestazione, revocabilità del consenso alla rinuncia all’instaurazione del rapporto di filiazione sino alla nascita del bambino; necessità di un apporto genetico alla pro-creazione da parte di uno dei due genitori intenzionali; valutazione in concreto degli effetti dell’eventuale diniego del riconoscimento sugli interessi in conflitto), eventualmente in aggiunta o combinazione con altri criteri generali, debbano o possano assumere il ruolo di una direttiva nell’interpretazione cui debba attenersi il giudice del merito.

 Se infine derivi anche dal diritto dell’Unione Europea un limite alla possibilità di non riconoscere lo status filiationis acquisito all’estero da un minore cittadino italiano nato da gestazione per altri legalmente praticata nello Stato di nascita nella misura in cui tale disconoscimento comporti la perdita dello status e limiti la sua libertà di circolazione e di esplicazione dei suoi legami familiari nel territorio dell’Unione.