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Il riformato abuso dโ€™ufficio supera il vaglio di costituzionalitร 

a cura dellโ€™avvocato Paolo Vincenzo Rizzardi

#abusodufficio #art.3Cost #art.77 Cost #art.97 Cost

Corte Costituzionale, sentenza n. 8/2022ย (dep. il 18/01/2022)

Con la decisione in commento la Corte Costituzionale ha dichiarato non fondata la questione di legittimitร  costituzionaledellโ€™art. 23, comma 1, del decreto-legge 16 luglio 2020, n. 76, convertito, con modificazioni, nella legge 11 settembre 2020, n. 120, sollevata, in riferimento allโ€™art. 77 della Costituzione e inammissibili le questioni di legittimitร  costituzionale sollevate in riferimento agli artt. 3 e 97 Cost.

Il giudizio di legittimitร  costituzionale รจ stato promosso dalGup del Tribunale di Catanzaro in riferimento agli artt. 77, 3 e 97 della Costituzione.

In particolare, il giudice calabrese dubitava della legittimitร  costituzionale della norma, sia per il suo contenuto sostanziale sia sotto lโ€™aspetto procedurale, con riguardo alla sua attuazione mediante decreto-legge. Con riferimento al secondo aspetto, contestava che la modificaย censurata fosse ยซeccentrica e assolutamente avulsaยป, per materia e finalitร , rispetto al d.l. n. 76 del 2020 contenete prevalentemente misure volte a realizzare unโ€™accelerazione degli investimenti ed una semplificazione delle procedure amministrative, al fine di fronteggiare le ricadute economiche conseguenti allโ€™emergenza epidemiologica da Covid-19. Inoltre, il giudice remittente rilevava il difetto delle condizioni della straordinaria necessitร  ed urgenza: presupposto che, rispetto a interventi di (parziale) depenalizzazione โ€“ quale quello realizzato dalla norma censurata โ€“, sarebbe ravvisabile solo in casi residuali, nella specie insussistenti, tenuto conto dei tempi di svolgimento dei processi penali e dellโ€™assenza di ricadute delle singole vicende penali sul piano della semplificazione amministrativa.

Sotto lโ€™aspetto sostanziale, il giudice a quo evidenziava che la norma si pone in contrasto con i principi di imparzialitร  e buon andamento della P.Aancorando il fatto tipico alla violazione ยซdi specifiche regole di condotta espressamente previste dalla legge o da atti aventi forza di legge e dalle quali non residuino margini di discrezionalitร , il legislatore avrebbe riservato la rilevanza penale ad una casistica ยซimprobabile e del tutto marginaleยป, lasciando prive di risposta punitiva le condotte, ben piรน gravi, di coloro che, detenendo il potere di decidere discrezionalmente, si trovano in una condizione privilegiata per abusarne.

Ad avviso dello stesso, la scelta di privare di rilevanza penale ogni forma di esercizio della discrezionalitร  amministrativa, inoltre, comporterebbe la violazione del principio di eguaglianza, giacchรฉ, la norma denunciata attribuirebbe allโ€™agente pubblico un potere dispositivo assoluto e sottratto al vaglio giudiziale, con il risultato di equiparare situazioni affatto diverse: il potere discrezionale attribuito al pubblico amministratore e la facoltร  di disposizione della propria cosa riconosciuta al proprietario privato.

Nella pronuncia in esame, la Corte, prima di esprimersi sul merito della questione, esegue una ricostruzione dellโ€™abuso dโ€™ufficio, ripercorrendo, in sintesi, la travagliata vicenda normativa e giurisprudenziale che si colloca alle sue spalle

Invero, la figura criminosa dellโ€™abuso dโ€™ufficio, assolvendo una funzione โ€œdi chiusuraโ€ del sistema dei delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione rappresenta, infatti, il punto saliente di emersione della spigolosa tematica del sindacato del giudice penale sullโ€™attivitร  amministrativa: tematica percorsa da una perenne tensione tra istanze legalitarie, che spingono verso un controllo a tutto tondo, atto a fungere da freno alla mala gestio della cosa pubblica, e lโ€™esigenza di evitare unโ€™ingerenza pervasiva del giudice penale sullโ€™operato dei pubblici amministratori, lesiva della sfera di autonomia ad essi spettante.

Nel disegno originario del codice penale del 1930 veniva, infatti, punito il pubblico ufficiale che, ยซabusando dei poteri inerenti alle sue funzioni, commette[sse], per recare ad altri un danno o per procurargli un vantaggio, qualsiasi fatto non preveduto come reato da una particolare disposizione di leggeยป.

Le criticitร  di una ipotesi criminosa cosรฌ congegnata rimanevano, peraltro, attutite dal fatto che essa era chiamata a recitare un ruolo marginale nel sistema.

Con la riforma operata dalla legge 26 aprile 1990, n. 86 si prevedeva che lโ€™abuso dโ€™ufficio โ€“ esteso anche agli incaricati di pubblico servizio โ€“ dovesse essere finalizzato ad un vantaggio, proprio od altrui, ยซingiustoยป, o a un danno altrui del pari ยซingiustoยป. Il rivisitato art. 323 cod. pen. divenne, cosรฌ, il nuovo strumento per un penetrante sindacato della magistratura penale sullโ€™operato dei pubblici funzionari

A distanza di pochi anni, il legislatore corse quindi ai ripari, riscrivendo una seconda volta la norma incriminatrice con lโ€™art. 1 della legge 16 luglio 1997, n. 234. Dismesso il generico riferimento allโ€™abuso dellโ€™ufficio (che resta solo nella rubrica dellโ€™art. 323 cod. pen.), la condotta tipica veniva individuata nella ยซviolazione di norme di legge o di regolamentoยป, ovvero, in alternativa, nella omessa astensione ยซin presenza di un interesse proprio o di un prossimo congiunto o negli altri casi prescrittiยป. La fattispecie si trasformava, altresรฌ, in reato di evento, essendo richiesta, ai fini del suo perfezionamento, lโ€™effettiva verificazione dellโ€™ingiusto danno o dellโ€™ingiusto vantaggio patrimoniale, evento che deve essere oggetto di dolo intenzionale.

Nel risagomare la figura, il legislatore del 1997 aveva agito con lโ€™intento di renderne piรน nitidi i confini del reato, impedendoun sindacato del giudice penale sullโ€™esercizio della discrezionalitร  amministrativa. Il riferimento alla ยซviolazione di norme di legge o di regolamentoยป, evocando uno dei vizi tipici dellโ€™atto amministrativo, doveva servire infatti a metter fuori, a contrario, lโ€™eccesso di potere, non menzionato.

Le intenzioni del legislatore hanno dovuto, perรฒ, fare i conti con le soluzioni della giurisprudenza, รจ venuto infatti a consolidarsi, da un lato, nella giurisprudenza di legittimitร , lโ€™indirizzo in forza del quale la ยซviolazione di norme di leggeยป, rilevante come abuso dโ€™ufficio, possa essere integrata anche dallโ€™inosservanza del generalissimo principio di imparzialitร  della pubblica amministrazione, enunciato dallโ€™art. 97 Cost. e dallโ€™altro lato, poi, si รจ assistito al recupero nellโ€™area di rilevanza penale degli atti viziati da eccesso di potere, nella forma dello sviamento (Cass SU penali 155/2012).

Lโ€™ art. 23 del decreto-legge in esame โ€“ norma oggi censurata, rimasta invariata allโ€™esito della conversione operata dalla legge n. 120 del 2020 โ€“ ridefinisce per la terza volta, nel suo unico comma, il perimetro applicativo del delitto di abuso dโ€™ufficio la modifica consiste, in specie, nella sostituzione della locuzione ยซdi norme di legge o di regolamentoยป con lโ€™altra ยซdi specifiche regole di condotta espressamente previste dalla legge o da atti aventi forza di legge e dalle quali non residuino margini di discrezionalitร ยป.Risulta trasparente lโ€™intento di sbarrare la strada alle interpretazioni giurisprudenziali che avevano dilatato la sfera di operativitร  della norma introdotta dalla legge n. 234 del 1997: โ€“ con conseguenti effetti di abolitiocriminis parziale, operanti, come tali, ai sensi dellโ€™art. 2, secondo comma, c. p., anche in rapporto ai fatti anteriormente commessi

In questo modo la novella legislativa ha ristretto la fattispecie, operando unโ€™abolitiocriminisparziale su tre distinti fronti: rispetto allโ€™oggetto, la violazione commessa dal soggetto pubblico deve riguardare un regola di condotta (e non, ad esempio, una regola organizzativa); rispetto alla fonte, la regola violata deve essere specifica ed espressamente prevista da una legge o da un atto avente forza di legge, con esclusione delle norme regolamentari; rispetto al contenuto, la regola violata non deve lasciare spazi di discrezionalitร .

Delineata lโ€™evoluzione normativa dellโ€™abuso dโ€™ufficio, la Corte passa allโ€™esame delle singole censure avanzate dal giudice remittente.

Con riferimento al contrasto con lโ€™art. 77 Cost. chiarisce che la norma censurata non sia palesemente estranea alla traiettoria finalistica portante del decretopoichรฉ โ€œcome emerge dal preambolo, dai lavori preparatori e dalle dichiarazioni ufficiali che ne hanno accompagnato lโ€™approvazione, il d.l. n. 76 del 2020 reca un complesso di norme eterogenee accomunate dallโ€™obiettivo di promuovere la ripresa economica del Paese dopo il blocco delle attivitร  produttive che ha caratterizzato la prima fase dellโ€™emergenza pandemica. (โ€ฆ)La ripresa del Paese (puรฒ) essere facilitata da una piรน puntuale delimitazione delle responsabilitร . La โ€œpaura della firmaโ€ e โ€œburocrazia difensivaโ€, indotte dal timore di unโ€™imputazione per abuso dโ€™ufficio, si tradurrebbero, in quanto fonte di inefficienza e immobilismo, in un ostacolo al rilancio economico, che richiede, al contrario, una pubblica amministrazione dinamica ed efficienteโ€.

Inoltre, con riferimento alle condizioni della necessitร  ed urgenza, precisa che รจ โ€œlโ€™esigenza di far โ€œripartireโ€ celermente il Paese dopo il prolungato blocco imposto per fronteggiare la pandemia che โ€“ nella valutazione del Governo (e del Parlamento, in sede di conversione) โ€“ ha impresso ad essa i connotati della straordinarietร  e dellโ€™urgenza. Valutazione, questa, che non puรฒ considerarsi, comunque sia, manifestamente irragionevole o arbitrariaโ€

Da ultimo, la Corte ha ritenuto inammissibili le questionisollevate in riferimento agli artt. 3 e 97 Cost.,argomentando โ€œcome una censura di illegittimitร  costituzionale non possa basarsi sul pregiudizio che la formulazione, in assunto troppo restrittiva, di una norma incriminatrice, recherebbe a valori di rilievo costituzionale, quali, nella specie, lโ€™imparzialitร  e il buon andamento della pubblica amministrazione. Le esigenze costituzionali di tutela non si esauriscono, infatti, nella tutela penale, ben potendo essere soddisfatte con altri precetti e sanzioni: lโ€™incriminazione costituisce anzi unโ€™extrema ratio, cui il legislatore ricorre quando, nel suo discrezionale apprezzamento, lo ritenga necessario per lโ€™assenza o lโ€™inadeguatezza di altri mezzi di tutelaโ€.

Inoltre, ha rilevato che ย โ€œove pure, in ipotesi, la norma incriminatrice (non qualificabile come norma penale di favore) determinasse intollerabili disparitร  di trattamento o esiti irragionevoli, il riequilibrio potrebbe essere operato dalla Corte solo โ€œverso il bassoโ€ (ossia in bonampartem): non giร  in malampartem, e in particolare tramite interventi dilatativi del perimetro di rilevanza penale (sulla inammissibilitร  di questioni in malampartem basate sulla denuncia di violazione dellโ€™art. 3 Cost., ex plurimis, sentenza n. 411 del 1995; ordinanze n. 437 del 2006 e n. 580 del 2000)โ€.