𝐋𝐚 𝐩𝐢𝐥𝐥𝐨𝐥𝐚 𝐝𝐢 𝐝𝐢𝐫𝐢𝐭𝐭𝐨 𝐝𝐞𝐥 𝟓 𝐚𝐩𝐫𝐢𝐥𝐞 𝟐𝟎𝟐𝟎: L’accesso civico nella fase esecutiva degli appalti

L’accesso civico trova applicazione nella fase esecutiva degli appalti (Ad. Plen. n. 10 del 2 aprile 2020).

di Luca Cestaro

#accessocivico #appalti #AdunanzaPlenaria

Sommario

La pillola di diritto del 4 aprile 2020

L’accesso civico trova applicazione nella fase esecutiva degli appalti (Ad. Plen. n. 10 del 2 aprile 2020).

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Consiglio di Stato, Ad. Plen., Sentenza n. 10 del 2 aprile 2020

1 – Introduzione

2 – La centralità del principio di trasparenza

3 – L’istanza una e bina (con limitazioni)

4 – Il giudizio in materia di accesso

5 – L’interesse legittimo negli appalti quale interesse (anche) strumentale e l’accesso documentale di cui alla L. 241/1990

5.1 – L’interesse strumentale e il polimorfismo del bene della vita

5.2. – La configurabilità dell’accesso strumentale

6 – L’accesso civico nella fase esecutiva

6.1 – Le eccezioni assolute

6.2 – Le eccezioni relative nella fase esecutiva: caratteri del bilanciamento

6.3 – La conferma del divieto di abuso di accesso

7 – Conclusioni

 

 

Consiglio di Stato, Ad. Plen., Sentenza n. 10 del 2 aprile 2020

1 – Introduzione

La Plenaria interviene su alcune delle questioni più dibattute degli ultimi tempi in tema di accesso.

La lettura dell’ampia motivazione costituisce una sorta di breviario sullo stato dell’arte in tema di diritto di accesso nel settore degli appalti e non solo.

 

2 – La centralità del principio di trasparenza

Il presupposto delle soluzioni adottate sui tre diversi quesiti posti dall’ordinanza di rimessione è la centralità del principio di trasparenza alla luce della Costituzione, della Convenzione europea dei diritti dell’uomo e del diritto comunitario.

Si ribadisce che l’introduzione – nel corpo del d.lgs. 33-2013 ad opera del d.lgs. 25 maggio 2016, n. 97 – del cd. accesso civico generalizzato ha segnato irreversibilmente il passaggio dalla tutela del bisogno di conoscere (nella terminologia dei FOIA anglosassoni: need to know, tutelato dall’accesso documentale di cui alla L. 241/1990) a quella del diritto di conoscere (right to know, tutelato dall’accesso civico di cui all’art. 5 co. 2 d.lgs. 33/2013). Il principio di trasparenza, che si esprime anche nella conoscibilità dei documenti amministrativi, diviene il “fondamento della democrazia amministrativa in uno Stato di diritto”. Essoopera, quale principio democratico (art. 1 Cost.), con riferimento a tutti gli aspetti rilevanti dalla vita pubblica e istituzionale e garantisce, ai sensi dell’art. 97 Cost., il buon funzionamento della pubblica amministrazione come affermato dalla Corte costituzionale nelle Sentenze n. 212 del 2017, n. 69 e n. 177 del 2018.

L’accesso civico generalizzato assume il valore di diritto fondamentale in sé e in quanto consente la piena fruizione di altri diritti fondamentali parimenti riconosciuti dall’ordinamento.

In questa ottica, sono richiamati gli artt. 1, 2, 97 della Costituzione, l’art. 42 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea per gli atti delle istituzioni europee, e, soprattutto, l’art. 10 della CEDU che include nel diritto alla libertà di espressione quello di “ricevere (o di comunicare) informazioni o idee senza che vi possa essere ingerenza da parte delle autorità pubbliche e senza limiti di frontiera”.

La Plenaria rammenta come sia stato acclarato che la disponibilità del patrimonio informativo delle pubbliche amministrazioni sia indispensabile per assicurare un esercizio effettivo del diritto individuale di esprimersi e per alimentare il dibattito pubblico su materie di interesse generale (sent. della Corte EDU, Grande Camera, 8 novembre 2016in ric. n. 18030/11).La norma convenzionale opera quale norma interposta dell’art. 117 della Costituzione imponendo la riserva di legge per la disciplina delle eccezioni al diritto di accesso (v. art. 10 co. 2 CEDU: “l’esercizio  di  queste  libertà,  poiché  comporta  doveri  e responsabilità, può essere sottoposto alle formalità, condizioni, restrizioni  o  sanzioni  che  sono  previste  dalla  legge e  che costituiscono  misure  necessarie,  in  una  società  democratica, alla sicurezza nazionale, all’integrità territoriale o alla pubblica sicurezza,  alla  difesa  dell’ordine  e  alla  prevenzione  dei  reati, alla protezione della salute o della morale, alla protezione della reputazione o dei diritti altrui, per impedire la divulgazione di informazioni riservate o per garantire l’autorità e l’imparzialità del potere giudiziario”).

 

3 – L’istanza una e bina (con limitazioni)

Il primo quesito a cui la Plenaria risponde riguarda la possibilità di accogliere, come istanza di accesso civico, un’istanza proposta sub specie di accesso documentale ai sensi della L.241/1990.

Il rapporto tra le due tipologie di accesso è di integrazione e di complementarietà nel senso che l’accesso documentale consente un accesso più “profondo”, ma con un campo di applicazione più ristretto in quanto circoscritto dalla necessaria presenza di un interesse diretto, concreto e attuale (art. 22 L. 241/1990).

Per un verso, in presenza di un simile interesse qualificato, c’è la possibilità di accedere a documenti che non sarebbero ostensibili se richiesti azionando l’accesso civico generalizzato (art. 5co. 2 d.lgs. 33/2013); quest’ultimo, infatti,soggiace a maggiori limitazioni: tendenzialmente l’accesso civico cede il passo, ad esempio, alla riservatezza, mentre l’accesso documentale, specie se “difensivo”può prevalere su di essa (v. l’art. 24 co. 7 L. 241/1990).

Per altro verso, l’accesso civico non richiede la sussistenza di un interesse qualificato (perciò l’istanza non deve essere motivata) e, quindi, esiste la possibilità che l’istanza del cittadino debba essere respinta nella parte in cui aziona il diritto di accesso documentale ex L. 241/1990 per la mancanza di un interesse qualificato e che, tuttavia, essa possa essere accolta, anche in parte, come esercizio dell’accesso civico generalizzato ai sensi dell’art. 5 co. 2 d.lgs. 33/2013.

La congiunta e integrata operatività delle due forme di accesso determina che la P.A. debba pronunciarsi motivatamente su entrambe nel caso in cui l’istanza le comprenda anche implicitamente.

Va rammentato in proposito come l’accesso sia assurto a principio fondamentale e che le limitazioni dello stesso, anche sul piano procedurale, debbano essere interpretate restrittivamente: “la pubblica amministrazione … deve esaminare l’istanza nel suo complesso, nel suo “anelito ostensivo”, evitando inutili formalismi e appesantimenti procedurali tali da condurre ad una defatigante duplicazione del suo esame”.

Sul punto, il Supremo Consesso opera, tuttavia, la precisazione che, qualora l’istanza sia limitata “inequivocabilmente” a una forma di accesso, la Pubblica amministrazione non potrà pronunciarsi in “prevenzione” rispetto alla forma di accesso non azionata. Parimenti, il giudice non potrà pronunciarsi su una forma di accesso che non sia stata azionata, prima, nella fase procedimentale, e, poi, in quella processuale.

Tale ultima conclusione è convincente per quanto riguarda la mutazione della domanda nell’ambito del processo innanzi al giudice amministrativo; il processo è retto dal principio della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato di talché, anche per garantire il corretto sviluppo del contraddittorio processuale con l’amministrazione e gli eventuali contro interessati, deve ritenersi inammissibile la “mutatio libelli” da una forma di accesso all’altro.

La conclusione è, invece, meno convincente per quanto riguarda la fase procedimentale. In concreto, infatti, è impossibile che la P.A. si possa pronunciare sull’accesso documentale in presenza di una (per definizione) immotivata istanza di accesso civico: non è sostenibile che l’amministrazione risponda su un’istanza rispetto a un interesse qualificato semplicemente supposto.

Non si vede, invece, la necessità di limitare l’opposta possibilità di pronunciarsi sull’accesso civico in presenza di una (motivata) istanza di accesso documentale che debba essere rigettata per la mancanza dell’interesse qualificato (e, quindi, del bisogno di conoscere); in tal caso, nel rispetto del principio dell’economia dei mezzi giuridici, l’amministrazione avrebbe tutti gli elementi per delibare un’istanza – che non deve essere motivata – fondata sul mero diritto di conoscere.

In primo luogo, si consentirebbe il soddisfacimento del medesimo interesse alla trasparenza rispetto a determinati atti: chi vuole conoscere degli atti ai sensi della L. 241/1990, li vuole senz’altro conoscere anche ai sensi dell’art. 5 co. 2 d.lgs. 33/2013. Non v’è, quindi, alcuna controindicazione rispetto all’interesse dell’istante che pur avesse azionato il solo accesso documentale.

In secondo luogo, si realizzerebbe un fine di economia dei mezzi giuridici evitando la duplicazione delle istanze e, magari, dei processi. L’eventuale istanza di reiezione rispetto a entrambe le forme di accesso consentirebbe anche al giudice di prendere pienamente cognizione del “rapporto” e non solo dell’atto reiettivo limitato al solo accesso documentale.

4 – Il giudizio in materia di accesso

Degna di nota è la precisazione secondo cui il giudizio in materia di accesso, pur seguendo lo schema impugnatorio, si atteggia a giudizio sul rapporto in quanto volto “all’accertamento della sussistenza o meno del diritto dell’istante all’accesso medesimo”.

Come si è detto, peraltro, la Plenaria esclude che ciò consenta una “mutatio libelli” da una forma di accesso all’altro in quanto è il procedimento svolto dall’amministrazione che è la “sede prima, elettiva, immancabile, nella quale la composizione degli interessi, secondo la tecnica del bilanciamento, deve essere compiuta da parte del soggetto pubblico competente, senza alcuna inversione tra procedimento e processo”.

Qualora si consentisse, come auspicato poc’anzi, alla P.A. di pronunciarsi sulla sussistenza dei presupposti dell’accesso civico anche in presenza di un’istanza volta a ottenere l’accesso documentale (L. 241/1990), il giudice potrebbe, quindi, esaminare l’”anelito conoscitivo” nella sua interezza. La decisione dalla Plenaria sul punto, come si è detto, non consente un simile approdo.

5 –L’interesse legittimo negli appalti quale interesse (anche) strumentale e l’accesso documentale di cui alla L. 241/1990

Il dubbio circa la possibilità del soggetto che abbia partecipato alla gara di accedere agli atti relativi all’esecuzione dell’appalto è risolto in senso affermativo.

5.1 – L’interesse strumentale e il polimorfismo del bene della vita

Di estremo interesse è l’aver posto a base ragionamento la considerazione che “l’interesse legittimo degli operatori economici nel settore dei rapporti contrattuali e concessori pubblici ha assunto ormai una configurazione di ordine anche solo strumentale”.

La Plenaria, in merito, cita la giurisprudenza della C.G.U.E. in tema di ricorso incidentale (da ultimo, C.G.U.E. n. 333 del 2019) e la Sentenza della Corte costituzionale che ha risolto affermativamente il dubbio circa la compatibilità costituzionale del rito super accelerato in tema di esclusioni e di ammissioni alle gare ai sensi dell’art. 120 co. 2 bis e 6 bis c.p.a. (rito, poi, abrogato; C. Cost n. 271/2019). La Consulta ha, in merito, affermato «se è vero che gli artt. 24, 103 e 113 Cost., in linea con le acquisizioni della giurisprudenza del Consiglio di Stato, hanno posto al centro della giurisdizione amministrativa l’interesse sostanziale al bene della vita, deve anche riconoscersi che attribuire rilevanza, in casi particolari, ad interessi strumentali può comportare un ampliamento della tutela attraverso una sua anticipazione e non è distonico rispetto ai ricordati precetti costituzionali, sempre che sussista un solido collegamento con l’interesse finale e non si tratti di un espediente per garantire la legalità in sé dell’azione amministrativa, anche al costo di alterare l’equilibrio del rapporto tra le parti proprio dei processi a carattere dispositivo».

Tanto conduce la Plenaria ad affermare che il bene della vita è “polimorfico” in quanto l’interesse legittimo vi può tendere per “passaggi graduali” tutelando così non solo l’interesse all’aggiudicazione, ma anche interessi strumentali, intermedi rispetto al bene della vita “finale”: l’interesse alla riedizione della gara; l’interesse alla corretta formazione della platea dei concorrenti (rispetto all’abrogato rito di cui all’art. 120 co. 2 bis e 6 bis c.p.a.).

5.2. – La configurabilità dell’accesso strumentale

Sussiste, quindi, un interesse di chi abbia partecipato alla gara di appalto a effettuare laverifica degli atti afferenti alla fase di esecuzione onde sollecitare l’adozione dei poteri spettanti alla stazione appaltante e che potrebbero determinare una riedizione della gara. La Plenaria enumera, in proposito, gli istituti che consentono alla stazione appaltante di rendere il contratto inefficace con correlativa possibilità di scorrere la graduatoria: il recesso facoltativo (all’art. 108, comma 1, e all’art. 176, commi 1 e 2, del codice appalti), qualificato come forma di autotutela; la risoluzione per inadempimento (art. 108 co. 3 e co. 4 del codice appalti); il recesso obbligatorio (art. 110 co. 2 del codice appalti), qualificato come forma di autotutela doverosa.

La circostanza che la fase esecutiva sia retta, in grande prevalenza, da norme di diritto privato non inficial’approdo cui giunge la Sentenza in commento: l’accesso documentale riguarda gli atti detenuti dall’amministrazione a prescindere dalla loro natura pubblicistica o privatistica purché siano ricompresi nell’attività amministrativa intesa quale attività volta alla cura concreta dell’interesse pubblico. L’attività privatistica, del resto,deve pur sempre essere funzionale al pubblico interesse (art. 1 co. 1 bis L. 241/1990; v., da ultimo, C.d.S., Ad. Plen., n. 5 del 2020) e lo stesso art. 22 lett. d della L. 241/1990 include tra i documenti amministrativi gli“atti, anche interni o non relativi ad uno specifico procedimento, …concernenti attività di pubblico interesse, indipendentemente dalla natura pubblicistica o privatistica della loro disciplina sostanziale”.

L’affermazione generale nel senso dell’ammissibilità dell’accesso documentale è limitata nel senso che l’interesse, tuttavia, non debba essere esplorativo; l’istanza deve, quindi, riguardare elementi concreti e non può essere finalizzata a un controllo che equivalga a quel “controllo generalizzato” dell’azione amministrativa che è alla base dell’accesso civico, ma che è testualmente escluso dal perimetro dell’accesso documentale. L’interesse diretto, concreto e attuale deve precedere l’istanza e non può, invece, seguirla; dovranno, quindi, sussistere degli elementi tali da radicare l’interesse qualificato in modo che l’istanza di accesso documentale non assuma una finalità meramente esplorativa.

Il confine al di là del quale sarà enucleabile l’interesse qualificato prima di aver avuto accesso agli atti della fase esecutivanon è facile da individuare. Tantopotrà essere foriero di incertezze applicative allorché ci si troverà a dare corpo alla distinzione tra istanze meramente esplorative (e perciò inammissibili) e istanze fondate su un concreto interesse strumentale alla riedizione della gara.

6 – L’accesso civico nella fase esecutiva

Un’ultima questione, la più dibattuta, riguarda l’ammissibilità dell’accesso civico generalizzato rispetto agli atti della fase esecutiva dell’appalto.

La tesi negativa si fonda su alcune considerazioni: il sistema di accesso negli appalti sarebbe un sistema “chiuso” e speciale che non tollererebbe la concorrenza di altre forme di accesso; sussiste il controllo dell’ANAC che renderebbe superfluo il controllo generalizzato; il riferimento di cui all’art. 53 co. 1 all’art. 241/1990 sarebbe fisso tanto da non ricomprendere anche l’accesso di cui al d.lgs. 33/2013; infine, l’art. 5 bis co. 3 del d.lgs. 33/2013 escluderebbe l’accesso civico in presenza di qualsivoglia disciplina speciale (“il diritto di cui all’articolo 5, comma 2, è escluso nei casi di segreto di Stato e negli altri casi di divieti di accesso o divulgazione previsti dalla legge, ivi compresi i casi in cui l’accesso è subordinato dalla disciplina vigente al rispetto di specifiche condizioni, modalità o limiti, inclusi quelli di cui all’articolo 24, comma 1, della legge n. 241 del 1990”).

La Plenaria opta per la tesi positivaconferendo rilievo assorbente alla portata “fondamentale” del principio di trasparenza come descritta al superiore par. 2. In tal senso, è centrale la considerazione secondo cui la trasparenza è da intendersi come “fisiologica conseguenza” dell’evidenza pubblica in quanto “ciò che è pubblicamente evidente, per definizione, deve anche essere pubblicamente conoscibile, salvi, ovviamente, i limiti di legge e solo di legge in ragione della richiamata riserva di legge “desumibile in modo chiaro dall’art. 10 CEDU, quale norma interposta ai sensi dell’art. 117 Cost.”.

Il controllo diffuso è funzionale agarantire procedure leali nonché a combattere efficacemente la corruzione e le frodi come richiesto dal considerando 126 della Direttiva n. 2014/24/UE; il correlativo diritto dei cittadini al corretto svolgimento delle procedure di appalto (considerando n. 122 della medesima direttiva)deve esplicarsi anche mediante la possibilità di accedere agli atti esecutivi delle procedure di gara.

Le previsioni che fondano un controllo dell’ANAC specifico per la fase esecutiva non valgono a escludere il controllo diffuso, ma anzi sono manifestazione di quel medesimo interesse pubblico che deve poter essere perseguito tanto mediante il controllo dell’Autorità indipendente a ciò preposta quanto mediante il controllo diffuso esercitabile direttamente dai cittadini.

6.1 – Le eccezioni assolute

L’art. 5 bis co. 3 del d.lgs. 33/2013deve, quindi, essere inteso come un richiamo non a tutti i casi in cui vi siano delle discipline del diritto di accesso “condizionate” o speciali, ma alle sole eccezioni assolute al diritto di accesso (es. segreto di Stato, segreto militare, segreto bancario, contratti secretati). Tale è, infatti, il risultato di un’interpretazione costituzionalmente orientata delle eccezioni al diritto di accesso generalizzatoche rientrano nell’ambito della riserva di legge di derivazione convenzionale e che devono essere interpretate restrittivamente, in modo “tassativizzante”.

Ebbene, tra le esclusioni assolute figura l’art. 53 del codice appalti nella parte in cui regola l’accesso agli atti nel corso di svolgimento della gara, differendolo a seconda della fase di procedura (co. 2). Tale esclusione, temporalmente limitata, è finalizzata a garantire la regolarità della gara e la par condicio tra i concorrenti ed è incompatibile con l’accesso generalizzato ai sensi dell’art. 5 bis co. 2 del d.lgs. 33/2013.

Sono parimenti da considerarsi esclusioni assolute quelle riportate nell’art. 53 co. 5 del codice appalti: “sono esclusi il diritto di accesso e ogni forma di divulgazione in relazione: a) alle informazioni fornite nell’ambito dell’offerta o a giustificazione della medesima che costituiscano, secondo motivata e comprovata dichiarazione dell’offerente, segreti tecnici o commerciali; b) ai pareri legali acquisiti dai soggetti tenuti all’applicazione del presente codice, per la soluzione di liti, potenziali o in atto, relative ai contratti pubblici; c) alle relazioni riservate del direttore dei lavori, del direttore dell’esecuzione e dell’organo di collaudo sulle domande e sulle riserve del soggetto esecutore del contratto; d) alle soluzioni tecniche e ai programmi per elaboratore utilizzati dalla stazione appaltante o dal gestore del sistema informatico per le aste elettroniche, ove coperti da diritti di privativa intellettuale” (salva la possibilità dell’accesso difensivo ai sensi del co. 6 del medesimo articolo).

Non dovrebbe esservi dubbio che tali limitazioni operino sia nella fase di gara sia nella fase esecutiva e la conclusione va confermata (la lett. ‘c’ è espressamente riferita alla fase esecutiva). Tuttavia, va segnalato che la Sentenza, al punto 35, sembra prevedere un bilanciamento quanto agli aspetti “aspetti tecnologici, produttivi, commerciali e organizzativi” che si sovrappongono sovrappongono ai segreti tecnici e commerciali di cui alla lettera a) dell’art. 53 del codice appalti. Il punto va, pertanto, interpretato nel senso che debba essere sempre escluso l’accesso di qualunque tipo (fatta eccezione per quello cd. difensivo) sui “segreti tecnici o commerciali“, mentre l’accesso civico può essere consentito -all’esito del bilanciamento di cui al paragrafo successivo- per aspetti, pur sempre tecnologici o commerciali, ma non costituenti segreti.

La non esemplare chiarezza, sul punto, della pronuncia in commento, peraltro, potrebbe indurre alla diversa opzione interpretativa per cui l’art. 53 cit. sia applicabile pienamente solo alla fase di gara e non, invece, una volta che la gara si sia conclusa.

6.2 – Le eccezioni relative nella fase esecutiva: caratteri del bilanciamento

Rispetto a quest’ultima fase, operano le “eccezioni relative” di cui all’art. 5 bis co. 2 del d.lgs. 33/2013 (“l’accesso di cui all’articolo 5, comma 2, è altresì rifiutato se il diniego è necessario per evitare un pregiudizio concreto alla tutela di uno dei seguenti interessi privati: a) la protezione dei dati personali, in conformità con la disciplina legislativa in materia; b) la libertà e la segretezza della corrispondenza; c) gli interessi economici e commerciali di una persona fisica o giuridica, ivi compresi la proprietà intellettuale, il diritto d’autore e i segreti commerciali”). Queste eccezioni, a differenza delle eccezioni assolute, sono superabili all’esito del bilanciamento tra l’interesse all’accesso e l’interesse che vi si oppone (es. riservatezza); il bilanciamento va operato secondo i criteri utilizzati anche in altri ordinamenti, “quali il cd. test del danno (harm test), utilizzato per esempio in Germania, o il c.d. public interest test o public interestoverride, tipico dell’ordinamento statunitense o di quello dell’Unione europea, in base al quale occorre valutare se sussista un interesse pubblico al rilascio delle informazioni richieste rispetto al pregiudizio per l’interesse-limite contrapposto”.

La norma richiamata, com’è noto, sembra prevedere il criterio dell’“harm test” che, di per sé, impedirebbe l’ostensione dei documenti solo che vi sia un pregiudizio all’interesse opposto (o interesse-limite) all’accesso; l’accesso soccomberebbe sempre in presenza di un pregiudizio all’interesse-limite (es. riservatezza). La giurisprudenza più accreditata, tuttavia, ha intesointerpretare la norma alla luce del principio di proporzionalità nel senso che sia comunque necessario operare un bilanciamento “tra la tutela da assicurare all’interesse da proteggere dalla disclosure e la tutela dell’interesse pubblico alla diffusione della informazione, per cui se il secondo dovesse risultare prevalente si procederebbe comunque alla diffusione”.

Si è affermato, in particolare, che“l’amministrazione, nonostante il riferimento nella norma al solo “test del pregiudizio concreto”, dovrà considerare non solo il danno che l’ostensione può creare all’interesse (limite) “protetto” dall’ordinamento, ma anche valutare l’aspettativa che ha il richiedente di conoscere i dati, le informazioni o i documenti oggetto dell’istanza (riferibili all’attività e all’organizzazione amministrativa) e quale potrebbe essere il contributo positivo alla “conoscenza diffusa” dell’attività amministrativa che l’ostensione richiesta potrebbe comportare” (T.A.R. Campania, Napoli, Sent. n. 2486 del 2019).

Ebbene, l’Adunanza plenaria conferma la necessità che non basti un qualunque pregiudizio all’interesse limite per impedire l’accesso: l’amministrazione dovrà alla luce del canone di proporzionalità operare un adeguato e proporzionato bilanciamento degli interessi coinvolti che potrà approdare anche a soluzioni intermedie. Ad esempio, il know how dell’impresa che sta eseguendo l’appalto potrà essere preservato preservato “senza sacrificare del tutto l’esigenza di una anche parziale conoscibilità di elementi fattuali, estranei a tale know-how …e ciò nell’interesse pubblico a conoscere, per esempio, come certe opere pubbliche di rilevanza strategica siano realizzate o certi livelli essenziali di assistenza vengano erogati da pubblici concessionari”.

6.3 – La conferma del divieto di abuso di accesso

La Sentenza in commento afferma che la possibilità dell’abuso del diritto di accesso non deve valere a limitarne, in assoluto, la corretta applicazione.

Si conferma, peraltro, che l’accesso – finalizzato a garantire, con “il diritto all’informazione, il buon andamento dell’amministrazione (art. 97 Cost.) – non può finire per intralciare proprio il funzionamento della stessa, sicché il suo esercizio deve rispettare il canone della buona fede e il divieto di abuso del diritto, in nome, anzitutto, di un fondamentale principio solidaristico (art. 2 Cost.)”.

L’applicazione dell’accesso alla fase esecutiva va, quindi, confermata, ferma rimanendo la necessità di respingere: “richieste manifestamente onerose o sproporzionate e, cioè, tali da comportare un carico irragionevole di lavoro idoneo a interferire con il buon andamento della pubblica amministrazione; richieste massive uniche …, contenenti un numero cospicuo di dati o di documenti, o richieste massive plurime, che pervengono in un arco temporale limitato e da parte dello stesso richiedente o da parte di più richiedenti ma comunque riconducibili ad uno stesso centro di interessi; richieste vessatorie o pretestuose, dettate dal solo intento emulativo, da valutarsi ovviamente in base a parametri oggettivi”.

 

7 – Conclusioni

La Sentenza in commento presenta numerosi spunti di interesse. Tra i tanti, merita di essere segnalato, in conclusione, quello relativo all’ampia discrezionalità che viene riconosciuta all’amministrazione nell’operare il bilanciamento tra l’interesse alla conoscenza e l’interesse limite (fra tutti, la riservatezza e il segreto tecnico o commerciale). Mentre, infatti, le esclusioni per l’accesso documentale sono tendenzialmente tassative o perché testuali o perché demandare a un regolamento o per essere i criteri di bilanciamento predeterminati dalla legge (v. in particolare, l’art. 24 co. 7 L. 241/1990 in rapporto ai dati personali), nel caso dell’accesso civico gli interessi limite sono semplicemente indicati (v. art. 5 bis co. 2 d.lgs. 33/2013, cit.).

Una simile indicazione legislativa per “clausole generali” era, invero, coerente con l’applicazione dell’ harm test nella sua accezione tipica secondo cui la ricorrenza di qualsiasi profilo di danno all’interesse-limite impedirebbe l’accesso civico generalizzato.

La giurisprudenza, confortata ora dall’Adunanza plenaria, si è mossa nel senso di richiedere, in applicazione del principio di proporzionalità, una valutazione comparativa del pregiudizioall’interesse limite in rapporto all’interesse alla conoscenza; l’orientamento è mosso dal condivisibile fine di evitare che l’accesso civico sia svuotato dall’ampiezza dei controlimiti, come fu paventato dai primi commentatori. Resta, tuttavia, la difficoltà di elaborare dei criteri sufficientemente univoci per operare un siffatto bilanciamento e, in merito, restiamo in attesa degli ulteriori sviluppi giurisprudenziali.