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Il contratto di gestione patrimoniale Γ¨ nullo in mancanza di accettazione scritta del cd. benchmark
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Corte di Cassazione, sez. I, ordinanza n. 9025 del 15.05.2020
La controversia attiene a un contratto di investimento (di gestione patrimoniale) e, in particolare, alla mancata accettazione scritta del parametro di riferimento (cd. benchmark) per lβeffettuazione degli investimenti.
Nel caso di specie, infatti, la societΓ di investimento aveva gestito il contratto secondo una delle linee di investimento giΓ esistenti che prevedevano una composizione dellβinvestimento e, quindi, un parametro di riferimento diverso da quello recato nel contratto sottoscritto dalla risparmiatrice.
La societΓ di investimento ha sostenuto in giudizio che la modifica del parametro di riferimento equivalga a una mera precisazione dellβaccordo contrattuale e che, comunque, il proprio comportamento, consistito nel dare informazioni scorrette nella fase precontrattuale, potrebbe, al piΓΉ, determinare una responsabilitΓ risarcitoria, ma non la nullitΓ per violazione di una norma imperativa.
La Corte respinge entrambi gli argomenti.
Quanto al primo, la Sezione evidenzia che il benchmark non Γ¨ un parametro secondario; esso, sebbene non imponga al gestore di acquistare titoli nelle proporzioni indicate, βrappresenta, infatti, un modo per valutare la razionalitΓ e l’adeguatezza dell’attivitΓ dell’intermediario, per modo che, ove la gestione sia risultata in contrasto con il predetto parametro e, quindi, con i rischi contrattualmente assunti dagli investitori, l’intermediario risponde delle perdite che gli stessi abbiano, per l’effetto, subΓ¬toβ.
Inoltre, lβindicazione del βparametro oggettivo di riferimento al quale confrontare il rendimento della gestioneβ (ossia del benchmark) era richiesta dal combinato disposto degli articoli 30, 37, 38 e 42 del regolamento CONSOB allora vigente (11522/1998) che lo includevano nel contenuto obbligatorio del contratto di investimento. E il d.lgs. 58/1998 (T.U.F.)oltre a rimandare, appunto, al regolamento CONSOB per la regolazione del settore (art. 6), prescrive la forma scritta a pena di nullitΓ (art. 23) dei contratti di investimento.Β In altri termini, le richiamate disposizioni del regolamento Consob completano la portata precettiva dellβart. 23 del T.U.F.βchiarendo quale contenuto debba presentare il contratto di investimento da redigersi per iscrittoβ. La mancata indicazione, nel contratto scritto, degli elementi richiesti dalla normativa regolamentare comporta, quindi, la nullitΓ del contratto per difetto di forma scritta.
Γ, altresΓ¬, respinto il secondo argomento svolto dalla ricorrente.
Lβorientamento giurisprudenziale (v. Cass. Sez. U. 19 dicembre 2007, nn. 26724 e 26725) richiamato dalla ricorrente Γ¨ quellosecondo cui solola violazione di norme inderogabili concernenti la validitΓ del contratto Γ¨ suscettibile di determinarne la nullitΓ mentre tale effetto non Γ¨ riconducibile alla violazione di norme, anch’esse imperative, ma riguardanti il comportamento dei contraenti, violazioneche puΓ² essere semmai fonte di responsabilitΓ . Tale orientamento, tuttavia,Γ¨ riferito alle ipotesi di contrarietΓ del comportamento a norme imperative a cui la legge non riconduca espressamente la sanzione della nullitΓ (e, quindi, alle ipotesi in cui opera la sola nullitΓ Β«virtualeΒ», contemplata dall’art. 1418, comma 1, c.c.).
Nel caso di specie, come si Γ¨ detto, l’art. 23, comma 1, T.U.F. βconsidera espressamente la nullitΓ per difetto di forma (elevando, cosΓ¬, la forma stessa a requisito del contratto, ex artt. 1325 e 1418, comma 2, c.c.)β il che rende inapplicabile il principio giurisprudenziale appena menzionato.