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Il proprio profilo Facebook come luogo aperto al pubblico: c’è apologia di reato anche se il messaggio Γ¨ rivolto ai soli β€˜amici’

#apologia #terrorismo #socialnetwork

Corte di Cassazione, sez. I penale, Sentenza n. 2442 del 22.01.2020

Alcuni individui sono imputati per la condotta consistita nell’ aver pubblicamente inneggiato e fomentato sentimenti antidemocratici, di odio religioso e di esaltazione della guerra santa e del martirio religioso, in tal modo pubblicamente istigando un numero indeterminato di persone a commettere i reati di cui agli articoli 270-bis, 270-sexies, 280 e 422 cod. pen., facendone al contempo apologia (art. 414 c.p.).

La difesa rileva, fra l’altro, l’inidoneitΓ  della condotta perchΓ© proveniente da individui riconoscibili per comportamenti antisociali che li screditano agli occhi della comunitΓ  religiosa di riferimento e perchΓ© diretta in prevalenza ai propri β€œamici” di Facebook e non a ogni fruitore del social network.

Il delitto di istigazione a delinquere, anche nella forma apologetica in contestazione, Γ¨ reato di pericolo concreto. Non basta, quindi, l’esternazione di un giudizio positivo su uno o piΓΉ episodi criminosi, ma occorre che β€œil comportamento dell’agente sia tale per il suo contenuto intrinseco, per la condizione personale dell’autore e per le circostanze di fatto in cui si esplica, da determinare il rischio effettivo della consumazione di altri reati lesivi di interessi”.

Seppur, quindi, la condizione dell’autore Γ¨ rilevante al fine di valutare la concreta capacitΓ  istigatoria, la Suprema Corte giudica favorevolmente il ragionamento della Corte d’Appello secondo cui la scarsa autorevolezza degli istigatori non puΓ² valere, nel caso di specie, a limitare la pericolositΓ  della condotta.

Infatti, da un lato, i fruitori dei social network ben possono essere ignari delle condizioni personali degli individui che veicolano un determinato messaggio e, dall’altro, simili messaggi di odio hanno trovato terreno fertile proprio nel medesimo ambiente in cui si muovono gli imputati, caratterizzato da disadattamento e disagio sociale; in tale ambiente, ha maggior peso, nella considerazione di coloro che ricevono il messaggio, il proposito di riscatto e di ribellione sociale, veicolato mediante condotte terroristiche, piuttosto cheΒ  l’autorevolezza sul piano religioso degli istigatori.

La Sezione chiarisce, quindi, che l’elemento soggettivo del reato Γ¨ il dolo generico che consiste nella cosciente volontΓ  di commettere il fatto in sΓ©, con l’intenzione di istigare alla commissione concreta di uno o piΓΉ delitti, essendo del tutto irrilevanti il fine particolare perseguito ed i motivi dell’agire.

Da ultimo, viene analizzata la compatibilitΓ  tra l’apologia β€œpubblica” (la norma richiede che sia effettuata β€œpubblicamente”) e la veicolazione del messaggio ai soli amici di Facebook e non a tutti gli utenti del social network.

Ebbene, la Corte afferma che il carattere pubblico del messaggio va affermato β€œnon solo per il rilevante numero di amici che gli account dei ricorrenti annoveravano, con la potenzialitΓ  di ulteriore diffusione ad altri amici, in una catena di continue moltiplicazioni dei destinatari dei messaggi, ma anche perchΓ© l’adesione alla cerchia di amici avviene sulla base di un semplice modulo – richiesta e successiva accettazione di amicizia nella rete del social network – che rende il profilo Facebook un luogo virtuale inquadrabile quanto meno nella categoria normativa di luogo aperto al pubblico, secondo la definizione di cui all’art. 266 cod. pen. 7”.