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Leasing traslativo e patto di deduzione

a cura dell’avvocato Paolo Vincenzo Rizzardi

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Corte di Cassazione, sez. III civile, sentenza n. 28023 del 14/10/2021

La pronuncia in commento offre degli ottimi spunti di riflessione rispetto a due tematiche. La prima Γ¨ quella relativa alla fattispecie del leasing traslativo e segnatamente alla disciplina applicabile in caso di inadempimento dell’utilizzatore. La seconda attiene, invece, all’estensione del principio di buona fede nell’esecuzione del contratto.

Il ricorrente lamentava la nullitΓ  di due clausole del contratto di leasing traslativo. La prima stabiliva che in caso di inadempimento dell’utilizzatore, il concedente potesse trattenere i canoni giΓ  versati, oltre quelli scaduti e non pagati e quelli futuri. La seconda postulava, invece, il c.d. patto di deduzione, ossia l’intesa in forza della quale si stabilisce che in caso di inadempimento dell’utilizzatore, questi sia tenuto a restituire il bene e il concedente ha il diritto di ritenere quanto sia ricavato dalla sua vendita o da altra collocazione sul mercato fino a concorrenza del credito, con l’obbligo di restituire l’eventuale residuo attivo.

Entrambe le clausole sono state tacciate di contrarietΓ  rispetto all’ordine pubblico.

Tale ricostruzione, tuttavia, non Γ¨ stata condivisa dalla Corte di Cassazione, la quale ha ritenuto, atteso che il concetto di ordine pubblico Γ¨ rappresentato dai principi e dagli istituti intesi a garantire il corretto svolgimento dei rapporti tra privati in materia economica, che entrambe le clausole non siano in contrasto con l’ordine pubblico, ma che, anzi, esse rappresentino un meccanismo recepito dal legislatore ai sensi dell’articolo 1, commi 138 e seguenti, della legge n. 124/20217 e dell’articolo 72 quater del r.d. n. 267/1942.

Infatti, β€œla validitΓ  del patto con cui si attribuisce al concedente, in caso di inadempimento dell’utilizzatore, di pretendere i canoni scaduti e quelli non ancora scaduti, previa detrazione del valore ricavato dalla vendita del bene oggetto del leasing, Γ¨ stata ammessa dalle Sezioni Unite di questa Corte, nella decisione con cui Γ¨ stato composto il contrasto circa gli effetti che la riforma dellaΒ legge fallimentareΒ (L.Fall., art. 72 quater) ha avuto sulla disciplina degli effetti della risoluzione per inadempimento del contratto di leasing (Sez. U -, Sentenza n. 2061 del 28/01/2021).

Nell’ampia motivazione di quella sentenza si afferma tra l’altro che: […] simili patti costituiscono “espressione di una razionalitΓ  propria della realtΓ  socio-economica”; sono sorti nella pratica commerciale, e il legislatore li ha anche recepiti nellaΒ L. n. 124 del 2017.

Tale decisione esclude dunque che i patti suddetti possano di per sΓ© essere considerati nulli”.

Inoltre, il collegio aggiunge che la clausola oggetto del contendere β€œcostituisce trascrizione quasi fedele dell’art. 13, commi 2, 3 e 4 della convenzione di Ottawa sul leasing internazionale (ratificata conΒ L. 14 luglio 1993, n. 259): ed Γ¨ singolare che una clausola possa dirsi contraria all’ordine pubblico economico nazionale, ma coerente con l’ordine pubblico economico internazionale”.

CiΓ² premesso, per quanto concerne il patto di deduzione e la cautela ad esso associata, il ricorrente lamentava che il concedente, proprietario del bene, non potesse disporre del bene liberamente. Al riguardo, la Corte di Cassazione ha chiarito, da un lato, che il proprietario della res possa disporre liberamente del bene e, dall’altro lato, che la fase esecutiva del contratto debba essere sorretta dalla buona fede. Pertanto, β€œLa societΓ  concedente resta … proprietaria di quel bene, e ci mancherebbe che al proprietario non fosse consentito fare dei propri beni quel che vuole, giustappunto secondo le proprie insindacabili determinazioni.

Il punto di diritto che viene in rilievo nel presente giudizio Γ¨ ben diverso: e cioΓ¨ come debba essere quantificato il “sottraendo” nel calcolo del credito residuo del concedente.

Ma la mancanza di indicazioni in tal senso nel contratto non Γ¨ affatto causa di nullitΓ  della clausola in esame.

I contratti infatti si interpretano inΒ buonaΒ fedeΒ (art. 1366 c.c.), e inΒ buonaΒ fedeΒ si eseguono (art. 1375 c.c.). Ed alla luce del criterio diΒ buonaΒ fedeΒ il valore del bene da portare in detrazione dal credito del concedente non potrΓ  che essere il valore equo di mercato (c.d. fair value), nel luogo e al tempo della risoluzione.

Se il concedente riuscirΓ  a reimpiegare quel bene ad un valore maggiore, ovviamente l’intero ricavato andrΓ  portato in detrazione, in virtΓΉ del principio della compensatio lucri cum damno.

Se il concedente non dovesse riuscire a realizzare il valore di mercato per propria trascuranza o maltalento, dovrΓ  comunque detrarre dal proprio credito il valore di mercato, e non la minor somma ricavata, in virtΓΉ del principio di cui all’art. 1227 c.c., comma 2 (sempre che la relativa eccezione sia stata tempestivamente sollevata).

Se, infine, il concedente non dovesse riuscire a realizzare il valore di mercato non per propria negligenza, ma a causa delle oggettive condizioni di mercato, avrΓ  diritto di detrarre dal proprio credito il valore effettivo di realizzo.

CiΓ² ha condotto la Suprema Corte a ritenere che β€œ Il c.d. patto di deduzione, in virtΓΉ del quale nei contratti di leasing traslativo si stabilisce che il concedente, nel caso di risoluzione per inadempimento dell’utilizzatore, ha diritto a titolo di penale al pagamento dei canoni scaduti e di quelli futuri, attualizzati al momento della risoluzione, previo diffalco di quanto ricavato dalla vendita del bene, deve essere interpretato ed applicato secondoΒ correttezzaΒ eΒ buonaΒ fede, con la conseguenza che:

  1. a) se al momento in cui il concedente esige il proprio credito (restitutorio e/o risarcitorio) nei confronti dell’utilizzatore il bene Γ¨ stato giΓ  rivenduto, il concedente dovrΓ  portare in diffalco il ricavato, salva la responsabilitΓ  del concedenteΒ ex art. 1227 c.c., comma 2, nel caso di vendita ad un prezzo vile per propria negligenza;
  2. b) se al momento in cui esige il proprio credito nei confronti dell’utilizzatore il bene non Γ¨ stato ancora rivenduto, il concedente dovrΓ  portare in diffalco il valore commerciale del bene, stimato col criterio del valore equo di mercato”.