𝐋𝐚 𝐩𝐢𝐥𝐥𝐨𝐥𝐚 𝐝𝐢 𝐝𝐢𝐫𝐢𝐭𝐭𝐨 𝐩𝐞𝐧𝐚𝐥𝐞 𝐝𝐞𝐥 𝟐𝟕.𝟎𝟓.𝟐𝟎𝟐𝟐:Incostituzionale la pena cumulativa per la diffamazione a mezzo stampa

Incostituzionale la pena cumulativa per la diffamazione a mezzo stampa

a cura dell’avvocato Paolo Vincenzo Rizzardi

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Corte costituzionale, Sentenza n. 150 del 22/06/2021 (dep. 12/07/2021).

La Corte costituzionale è stata chiamata a verificare la legittimità costituzionale dell’art. 13 della legge 8 febbraio 1948, n. 47 (Disposizioni sulla stampa), e dell’art. 595, terzo comma, del codice penale, alla luce delle ordinanze promosse sia dal Tribunale di Salerno sia dal Tribunale di Bari.

Entrambi i giudizi di merito, nella sostanza, attribuivano, per mezzo della stampa, la paternità di alcuni delitti a soggetti determinati, i quali, tuttavia, apparivano, in sede processuale, non responsabili dei fatti ascritti.

Relativamente al giudizio innanzi al Tribunale di Salerno, “Il giudice a quo riferisce di essere chiamato a decidere sulla responsabilità penale di P. N., imputato del delitto di diffamazione a mezzo stampa, e di A. S., imputato in quanto direttore responsabile per omesso controllo, per aver attribuito alle persone offese un fatto determinato (l’affiliazione a un sodalizio mafioso) non corrispondente al vero alla luce degli atti di indagine dell’autorità giudiziaria”. Segnatamente il giudice remittente ravvisava il contrasto tra le normative citate e gli articoli21, 3, 27, comma 3, 117, comma 1,  della Costituzione, quest’ultimo in relazione all’articolo 10 CEDU. Invero, il giudice a quo osservava che, secondo l’orientamento consolidato della Corte EDU, apparisse contrariaall’articolo 10 CEDU, poiché eccessiva e sproporzionata, la previsione astratta di una pena detentiva per i delitti di diffamazione a mezzo stampa, fatte salve alcune ipotesi eccezionali caratterizzate da una grave lesione di altri diritti fondamentali (come ad esempio in caso di discorsi di odio o di istigazione alla violenza). Inoltre, il giudice remittente sosteneva che non sarebbe possibile un’interpretazione costituzionalmente orientata- a normativa invariata- nel senso di ritenere la pena detentiva applicabile ai soli casi eccezionali, in quanto, atteso il dato letterale, questa soluzione apparirebbe in contrasto con i principi di tassatività e determinatezza, intesi quali corollari del principio di legalità, di cui all’articolo 25, comma 2, Cost. Infine, il giudice a quo riteneva le disposizioni in contrasto tanto con il principio di offensività quanto con la funzione rieducativa della pena, attesa l’irragionevolezza della sanzione rispetto al bene giuridico tutelato.

Per quanto concerne il giudizio pendente innanzi al Tribunale di Bari, “Il rimettente espone di dover giudicare della responsabilità di G. D.T., imputato del delitto di cui agli artt. 595 cod. pen. e 13 della legge n. 47 del 1948, per avere, in qualità di direttore di un quotidiano, offeso la reputazione di F. C. mediante la pubblicazione di un articolo privo di firma, nel quale si attribuiva alla persona offesa la cessione di stupefacente a una terza persona, malgrado l’avvenuto proscioglimento di F. C. in relazione a tale fatto”.

Al riguardo, il giudice remittente riteneva l’incompatibilità delle norme citate rispetto agli articoli 3, 21, 25,comma 2 e 27, comma 3, 117 della Costituzione in relazione all’articolo 10 CEDU “nella  parte in cui nella parte in cui sanziona il delitto di diffamazione aggravata, commessa a mezzo stampa e consistente nell’attribuzione di un fatto determinato, con la pena cumulativa della reclusione da uno a sei anni e della multa non inferiore a 256 [recte: 258] euro, invece che in via alternativa”. Il giudice remittente precisava, quindi, che la questione di legittimità sollevata mirasse ad una pronuncia che rendesse la pena detentiva applicabile in via alternativa e non più cumulativa rispetto alla pena pecuniaria.

Ciò premesso, con ordinanza n. 132/2020, la Corte Costituzionale, ritenendo di doversi procedere ad “[…]una complessiva rimeditazione del bilanciamento, attualmente cristallizzato nella normativa oggetto delle odierne censure, tra libertà di manifestazione del pensiero e tutela della reputazione individuale, in particolare con riferimento all’attività giornalistica[…]” aveva ritenuto opportuno, in uno spirito di leale collaborazione, rinviare la decisione in modo da consentire al legislatore di innovare la disciplina.

Attesa l’inerzia del legislatore, il collegio, in data 22 giugno 2021, procede nella decisione.

Al fine di una efficace comprensione dell’arresto giurisprudenziale, è opportuno, a parere di chi scrive, chiarire che il quesito è “[…]se sia compatibile con la Costituzione, anche alla luce della giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, la previsione di pene detentive per il delitto di diffamazione commesso a mezzo della stampa. E ciò con riguardo all’art. 13 della legge n. 47 del 1948, che commina la reclusione in via cumulativa rispetto alla pena pecuniaria, allorché la diffamazione a mezzo stampa consista nell’attribuzione di un fatto determinato; nonché – per ciò che concerne la questione posta dal Tribunale di Salerno – con riguardo anche all’art. 595, terzo comma, cod. pen., che prevede la reclusione in via meramente alternativa rispetto alla pena pecuniaria per il caso di diffamazione col mezzo della stampa o con qualsiasi altro mezzo di pubblicità, ovvero in atto pubblico.

Il collegio ritiene che le questioni sollevate dal Tribunale di Salerno sull’articolo 13 della legge n. 47/1948, con riguardo agli articoli 21, 117 della Costituzione in relazione all’articolo 10 CEDU appaiano fondate.

Preliminarmente, è opportuno evidenziare che la disposizione di cui all’articolo 13 della legge n. 47/1948costituisce una circostanza aggravante del delitto di diffamazione, integrata nell’ipotesi in cui la condotta sia commessa col mezzo della stampa e consista nell’attribuzione di un fatto determinato. Altresì, la Corte chiarisce che tale disposizione costituisce lexspecialis rispetto alle due aggravanti previste dall’articolo 595, commi 2 e 3, del codice penale, conducendo, quindi, in caso di convergenza delle due norme su di un medesimo fatto, all’applicazione dell’aggravante di cui all’articolo 13 della legge n. 47/1948.

Al riguardo, la pena prevista è quella della reclusione da uno a sei anni e della multa non inferiore a 258 euro. Le due pene sono, dunque, previste in via cumulativa, imponendo al giudice la loro applicabilità congiunta, salvo che non sussistano nel caso concreto circostanze attenuanti, che ritenute prevalenti o equivalenti, determinino il riespandersi della pena base prevista dall’articolo 595,comma 1, c.p.

Ecco, è proprio la pena cumulativa il punctumdolens della disciplina, la quale è in contrasto con le disposizioni costituzionali e sovranazionali richiamate. “Come già rilevato da questa Corte nella ordinanza n. 132 del 2020, una simile necessaria irrogazione della sanzione detentiva (indipendentemente poi dalla possibilità di una sua sospensione condizionale, o di una sua sostituzione con misure alternative alla detenzione rispetto al singolo condannato) è divenuta ormai incompatibile con l’esigenza di «non dissuadere, per effetto del timore della sanzione privativa della libertà personale, la generalità dei giornalisti dall’esercitare la propria cruciale funzione di controllo sull’operato dei pubblici poteri. […] .– Dal momento che la funzione della disposizione censurata è unicamente quella di inasprire il trattamento sanzionatorio previsto in via generale dall’art. 595 cod. pen. in termini che non sono compatibili con l’art. 21 Cost., oltre che con l’art. 10 CEDU, essa deve essere dichiarata costituzionalmente illegittima nella sua interezza, nei termini auspicati dal ricorrente. Tale dichiarazione non crea, del resto, alcun vuoto di tutela al diritto alla reputazione individuale contro le offese arrecate a mezzo della stampa, diritto che continua a essere protetto dal combinato disposto del secondo e del terzo comma dello stesso art. 595 cod. pen., il cui alveo applicativo si riespanderà in seguito alla presente pronuncia”.

 Diversamente, la Corte Costituzionale ritiene infondata la questione rispetto all’articolo 595, comma 3, c.p. In questo caso, il collegio evidenziache la pena prevista è della reclusione da sei mesi a tre anni oppure della multa non inferiore a 516 €. Proprio l’alternatività della pena detentivaha condotto la corte a ritenere la fattispecie non in contrasto con gli articoli 3, 21,117 della Costituzione in relazione all’articolo 10 CEDU.

Il collegio osserva che tra gli strumenti non può in assoluto escludersi la pena detentiva, in quanto la sua applicazione non è di sé incompatibile con la tutela della libertà di manifestazione del pensiero nei casi caratterizzati da eccezionale gravità. “La Corte di Strasburgo ritiene integrate simili ipotesi eccezionali in particolare con riferimento ai discorsi d’odio e all’istigazione alla violenza, che possono nel caso concreto connotare anche contenuti di carattere diffamatorio; ma casi egualmente eccezionali, tali da giustificare l’inflizione di sanzioni detentive, potrebbero ad esempio essere anche rappresentati da campagne di disinformazione condotte attraverso la stampa, internet o i social media, caratterizzate dalla diffusione di addebiti gravemente lesivi della reputazione della vittima, e compiute nella consapevolezza da parte dei loro autori della – oggettiva e dimostrabile – falsità degli addebiti stessi”.

Pertanto, la pena detentiva se circoscritta a tali ipotesi appare, oltre che compatibile rispetto ai precetti costituzionali e comunitari, necessaria per tutelare adeguatamente i beni giuridici. “Se circoscritta a casi come quelli appena ipotizzati, la previsione astratta e la concreta applicazione di sanzioni detentive non possono, ragionevolmente, produrre effetti di indebita intimidazione nei confronti dell’esercizio della professione giornalistica, e della sua essenziale funzione per la società democratica. Al di fuori di quei casi eccezionali, del resto assai lontani dall’ethos della professione giornalistica, la prospettiva del carcere resterà esclusa per il giornalista, così come per chiunque altro che abbia manifestato attraverso la stampa o altri mezzi di pubblicità la propria opinione […]”.

 Dunque, la corte ritiene che la disposizione dell’articolo 595, comma 3, c.p. debba essere interpretata nel senso di comminare la sanzione detentiva esclusivamente ai casi eccezionali di diffamazione a mezzo stampa, applicando, invece, la sola pena pecuniaria negli altri casi. Invero, “Ne consegue che il giudice penale dovrà optare per l’ipotesi della reclusione soltanto nei casi di eccezionale gravità del fatto, dal punto di vista oggettivo e soggettivo, rispetto ai quali la pena detentiva risulti proporzionata, secondo i principi poc’anzi declinati; mentre dovrà limitarsi all’applicazione della multa, opportunamente graduata secondo la concreta gravità del fatto, in tutte le altre ipotesi”.

 Ciò premesso, la Corte Costituzionale, ai sensi dell’articolo 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), dichiara, in via consequenziale, l’incostituzionalità dell’art. 30, comma 4, della legge 6 agosto 1990, n. 223 (Disciplina del sistema radiotelevisivo pubblico e privato), il quale stabilisce che nel caso di diffamazioni commesse attraverso trasmissioni si applichi la pena di cui all’articolo 13 della legge 8 febbraio 1948, n. 47.

Ad ogni modo, attesa la pronuncia in commento, alle condotte di diffamazione a mezzo stampa o eseguite tramite trasmissioni radiotelevisive potrà essere applicata la disciplina prevista dall’articolo 595, commi 1,2,3, c.p.

Ciò premesso, la Corte costituzionale:

“1) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 13 della legge 8 febbraio 1948, n. 47 (Disposizioni sulla stampa);

2) dichiara l’illegittimità costituzionale, in via consequenziale, ai sensi dell’art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), dell’art. 30, comma 4, della legge 6 agosto 1990, n. 223 (Disciplina del sistema radiotelevisivo pubblico e privato);

3) dichiara non fondate, nei sensi di cui in motivazione, le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 595, terzo comma, del Codice penale, sollevate, in riferimento agli artt. 3, 21 e 117, primo comma, della Costituzione, quest’ultimo in relazione all’art. 10 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (CEDU), dal Tribunale ordinario di Salerno, sezione seconda penale, con l’ordinanza indicata in epigrafe;

4) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 595, terzo comma, cod. pen., sollevata, in riferimento all’art. 27, terzo comma, Cost., dal Tribunale di Salerno, sezione seconda penale, con l’ordinanza indicata in epigrafe;

5) dichiara manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 595, terzo comma, cod. pen., sollevata, in riferimento all’art. 25 Cost., dal Tribunale di Salerno, sezione seconda penale, con l’ordinanza indicata in epigrafe”.