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Tentata concussione e istigazione alla corruzione: differenze

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Corte di Cassazione, sez. VI penale, Sentenza n. 14782 del 13 maggio 2020

In merito alla distinzione tra il reato di tentata concussione (o di tentata induzione indebita a dare o promettere utilitร ) e quello di istigazione alla corruzione, quale previsto dall’art. 322, ultimo comma, c.p. per il caso del pubblico ufficiale o dell’incaricato di pubblico servizio che richieda una promessa o dazione di danaro o di altre utilitร  in cambio del compimento di atti inerenti al proprio ufficio, si configura il primo di detti reati qualora l’agente eserciti sul soggetto passivo una pressione psicologica tale da determinare uno stato di soggezione riconducibile alla nozione del “metuspublicae potestatis“, mentre ricorre la meno grave ipotesi di cui al citato art. 322 c.p. quando l’agente propone al privato, in maniera esplicita o implicita, un semplice scambio di vantaggi o di favori, senza ricorrere ad alcun tipo di minaccia, diretta o indiretta, posta in essere con abuso della sua qualitร  o dei suoi poteri (v. tra le altre, ย Cassazione penale sez. VI, 04/04/2012, n.44205). Nel reato di istigazione alla corruzione, in sostanza, il rapporto si svolge su base paritaria senza che la vittima subisca, anche in termini di mera soggezione, il timore derivante dallโ€™esercizio di funzioni pubbliche.

Nel caso di specie, lโ€™imputato รจ stato condannato per tentata concussione dalla Corte dโ€™Appello con una valutazione che la Suprema Corte mostra di non condividere.

Infatti, il reo si sarebbe limitato a proporre alle vittime la propria collaborazione al fine di sbloccare una pratica di loro interesse che stava subendo un considerevole ritardo. La condotta, in particolare, non si sarebbe mai caratterizzata in termini di minaccia in quanto, da un lato, il ritardo era maturato indipendentemente dalla condotta del reo e, dallโ€™altro, perchรจ รจ mancata la prova che lโ€™imputato abbia paventato la possibilitร  che la mancata dazione di denaro avrebbe comportato lโ€™ulteriore ritardo nella sua definizione.

Le espressioni utilizzate e lo stesso contegno come descritto risultano, quindi, indicative di una offerta della propria disponibilitร  a facilitare il buon esito della pratica, non la minaccia di impedirne la prosecuzione. Di conseguenza, la Corte conclude nel senso che la corretta contestazione sia quella di istigazione a versare denaro in proprio favore per l’asserito svolgimento della pratica amministrativa, ovvero il reato di cui all’articolo 322, terzo comma, cod. pen. (e non, invece, quello di tentata concussione ai sensi degli artt. 56, 317 c.p.).