𝐋𝐚 𝐩𝐢𝐥𝐥𝐨𝐥𝐚 𝐝𝐢 𝐝𝐢𝐫𝐢𝐭𝐭𝐨 𝐝𝐞𝐥 𝟐𝟔.𝟏𝟎.𝟐𝟎𝟐𝟎: La cd. fiscalizzazione dell’abuso edilizio a seguito dell’annullamento del permesso di costruire

La cd. fiscalizzazione dell’abuso edilizio a seguito dell’annullamento del permesso di costruire

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Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, Sent. n. 17 del 07.09.2020

  1. L’Adunanza plenaria si occupa dell’applicazione dell’art. 38 del D.P.R. 380/2001 (Testo unico dell’edilizia, TUED) che dispone: “In caso di annullamento del permesso, qualora non sia possibile, in base a motivata valutazione, la rimozione dei vizi delle procedure amministrative o la restituzione in pristino, il dirigente o il responsabile del competente ufficio comunale applica una sanzione pecuniaria pari al valore venale delle opere o loro parti abusivamente eseguite, valutato dall’agenzia del territorio, anche sulla base di accordi stipulati tra quest’ultima e l’amministrazione comunale. La valutazione dell’agenzia è notificata all’interessato dal dirigente o dal responsabile dell’ufficio e diviene definitiva decorsi i termini di impugnativa (comma 1). L’integrale corresponsione della sanzione pecuniaria irrogata produce i medesimi effetti del permesso di costruire in sanatoria di cui all’articolo 36 (comma 2)”.

Si tratta della cd. fiscalizzazione dell’abuso conseguente all’annullamento (in autotutela o in sede giurisdizionale) del permesso di costruire precedentemente rilasciato.

In merito, si è formato un orientamento per cui la possibilità di applicare la sanzione pecuniaria in luogo della demolizione si giustificherebbe con la necessità di fornire tutela all’affidamento del privato che abbia edificato sulla base del permesso poi annullato. Potrebbero essere, quindi, “sanati” mediante pagamento della sanzione pecuniaria anche vizi sostanziali del titolo edilizio (i.e.: derivanti dal contrasto con la normativa urbanistica). L’esito sarebbe quello di preservare la costruzione abusiva in ragione dell’iniziale ‘errore’ dell’amministrazione nonostante che l’opera non sia conforme all’assetto urbanistico del territorio.

  1. La Plenaria respinge decisamente questo orientamento rammentando come sia del tutto eccezionale la possibilità di evitare la demolizione di una costruzione abusiva che contrasti con la disciplina urbanistica dell’area (ciò è, infatti, consentito solo quando la costruzione, pur edificata senza idoneo titolo, sia conforme alla normativa urbanistica: art. 36 D.P.R. 380/2001).

La locuzione “vizio di natura procedurale”, quindi, deve intendersi riferita ai soli vizi del procedimento e non anche ai vizi di natura sostanziale. La fattispecie, nell’interpretazione fornita dalla Plenaria, opera solo nel caso in cui il vizio del procedimento non sia suscettibile di convalida (rimozione postuma del vizio anche mediante rinnovazione del procedimento); è, infatti, il potere di convalida che la norma richiama – “sia pur per implicito” – quando menziona la “rimozione dei vizi delle procedure amministrative”.

L’alternativa nel caso di ricorrenza di simili vizi (procedurali) all’atto di rilasciare il titolo edilizio, quindi, è tra la convalida e l’applicazione della sanzione nel caso in cui l’amministrazione ritenga “in base a motivata valutazione” di non poter procedere alla convalida medesima.

Anche il riferimento normativo alla impossibilità della demolizione va, quindi, inteso come afferente a un vizio che, “sul piano astratto sarebbe suscettibile di convalida, e che per le motivate valutazioni espressamente fatte dall’amministrazione, non risulta esserlo in concreto

Sostiene, quindi, l’Adunanza plenaria: “diversamente da quanto sostenuto dall’orientamento giurisprudenziale “estensivo” del quale si è dato sopra atto, in casi siffatti il sindacato del giudice chiamato a vagliare la legittimità della operata fiscalizzazione dell’abuso deve avere ad oggetto proprio la natura del vizio. La “motivata valutazione” dell’amministrazione, infatti,afferisce al preliminare vaglio amministrativo circa la rimovibilità (anche) in concreto del vizio, ex art. 21 nonies comma 2, e rileva non già rispetto al binomio fiscalizzazione/demolizione, quanto in relazione al diverso binomio convalida/applicazione dell’art. 38, costituente soglia di accesso per applicazione dell’intero impianto dell’art. 38 (e non solo dell’opzione della fiscalizzazione)”.

  1. Per corroborare la soluzione adottata, il Supremo Consesso spende alcune considerazioni di indubbia pregnanza.

In primo luogo, si rileva come sarebbe rimessa alla scelta dell’amministrazione la possibilità di “sanare” abusi edilizi pur incompatibili con l’assetto urbanistico; l’errore iniziale dell’amministrazione varrebbe, così, a costituire una ragione per un vero e proprio condono che opererebbe in via ordinaria a discrezione dell’amministrazione. La conclusione è, evidentemente, non accettabile.

In secondo luogo, si rileva come, nel caso in cui il titolo edilizio sia annullato in sede giurisdizionale su richiesta del terzo controinteressato, la possibilità di “sanare” l’opera anche se incompatibile con il regime urbanistico costituirebbe un grave vulnus alla tutela del controinteressato medesimo.

  1. La conclusione, peraltro, lascia uno spazio di tutela al proprietario dell’immobile costruito sulla base di un titolo edilizio che era stato, pur sempre, rilasciato in un primo momento nonostante l’incompatibilità dell’opera con la normativa urbanistica. La tutela, ferma rimanendo la necessità di demolire il manufatto, potrà essere di natura risarcitoria. È possibile, in particolare che, “a prescindere dalla qualificazione giuridica della posizione giuridica del costruttore che dinanzi all’annullamento in sede amministrativa o giurisdizionale del permesso di costruire reclami il ristoro dei danni conseguenti al legittimo affidamento dal medesimo riposto circa la legittimità dell’edificazione realizzata, l’illecito commesso dall’amministrazione comporti il sorgere di un’obbligazione all’integrale risarcimento, per equivalente, del danno provocato”.